venerdì 15 ottobre 2010

Borges, Nove saggi danteschi

Jorge Luis Borges, Nove saggi danteschi - Un cercare pieno d'incanto (Francesco Carbone)

«La Commedia è un libro che tutti dobbiamo leggere. Non farlo significa privarci del dono più grande che la letteratura può offrirci, significa condannarci a uno strano ascetismo»


martedì 6 ottobre 2009

L'eterno mito di Orfeo ed Euridice


Orfeo, Euridice, Hermes:
Museo archeologico, Napoli





















POLIZIANO, LA FAVOLA DI ORFEO
.....
Dunque piangiamo, o sconsolata lira,
ché più non si convien l'usato canto.
Piangiam, mentre che 'l ciel ne' poli agira
e Filomela ceda al nostro pianto.
O cielo, o terra, o mare! o sorte dira!
Come potrò soffrir mai dolor tanto?
Euridice mia bella, o vita mia,
senza te non convien che 'n vita stia.
...

Il mito nei secoli

Il mito di Orfeo nel melodramma


Italo Calvino L'altra Euridice, Gesualdo Bufalino Il ritorno di Euridice

Umberto Curi, saggio su Orfeo ed Euridice



Giorgio de Chirico, Orfeo solitario


Variazioni sul mito di Orfeo



venerdì 25 settembre 2009

Inferno 24

Inferno XXXIV,
Lucifero nel Cocito ghiacciato (illustraz. Gustave Dorè)



"Non avean penne, ma di vispistrello
era lor modo; e quelle svolazzava,
sì che tre venti si movean da ello:

quindi Cocito tutto s'aggelava.



lunedì 1 giugno 2009

Tempo lineare e tempo ciclico

Ci sono due diverse concezioni del tempo, dice Ernst Junger: una lineare e una ciclica.

"Esse si annunciano già nel linguaggio. Chi dice: il tempo passa, scorre, trascorre, fugge, ha in mente un tempo diverso rispetto a chi usa modi di dire nei quali il tempo è rappresentato da una ruota e parla perciò di cicli e di ricorsi. Per il primo il tempo è una forza progressiva; per l'altro una forza ciclica. Sebbene nel tempo siano presenti entrambi questi aspetti, è molto diverso se percepiamo l’uno o l'altro, a quale dei due prestiamo ascolto".
Il pensiero di Junger si snoda ulteriormente così: "II tempo che ritorna è un tempo che dona e restituisce. Le ore sono ore dispensatrici. Sono anche diverse l’una dall'altra perché ci sono le ore di tutti i giorni e le ore di festa. Ci sono albe e tramonti, basse e alte maree, costellazioni e culminazioni. Il tempo progressivo invece, non viene misurato in cicli e moti circolari, ma su una scala graduata: è un tempo uniforme. Qui i contenuti passano in secondo piano" .
«Quanto più ci si identifica con il proprio tempo e si vive in simbiosi con esso, tanto più si è vittime dei suoi pregiudizi. Ma il pregiudizio più radicato è il tempo in quanto tale. Questo è un vecchio problema filosofico. Più recente, invece, è la consapevolezza che questo pregiudizio non rimane sempre uguale a sé stesso, che muta le forme in cui si presenta, che anch’esso è soggetto alle mode»

domenica 26 aprile 2009

martedì 3 marzo 2009

Las Meninas

domenica 15 febbraio 2009

Ciro di Pers














Mobile ordigno di dentate ruote,
lacera il giorno e lo divide in ore,
ed ha scritto fuor con fosche note
a chi legger le sa :”sempre si more”.

Mentre il metallo concavo percote,
voce funesta mi risuona al core,
né del fato spiegar meglio si puote
che con voce di bronzo il rio tenore.

Perch’io non speri mai riposo o pace,
questo che sembra un timpano e tromba,
mi sfida ogn’or contro l’età vorace,

e con quei colpi onde il metal rimbomba,
affretta il corso al secol fugace
e perché s’apra ognor picchia alla tomba.

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domenica 1 febbraio 2009

Letture - Gomorra; Romanzo criminale

Letture assegnate durante le vacanze:

1) Roberto Saviano, Gomorra, Feltrinelli 2006

2) Giancarlo De Cataldo, Romanzo criminale, Einaudi, 2002


Diario di lettura di 
Juliette
24 dicembre 2008
“il dottor Nicolò Scialoja dirige l’Ufficio logistica e informazioni sulla criminalità del ministero degli Interni. Abita un lussuoso attico in via Chiana. Non si è mai sposato”.
Leggo sempre l’ultima frase di un romanzo prima di iniziarlo : mi invoglia alla lettura. Devo però ammettere che questa frase in particolare mi lascia attonita; con un briciolo di perplessità inizio a leggere.
Il prologo si svolge a Roma, non fatico a immaginare lo stato di angoscia e rabbia del fantomatico personaggio, sono infatti in macchina da ore (sto andando in Francia) e l’odore della benzina attanaglia il mio stomaco a digiuno. Rapidamente giungo alla Genesi ;questo capitolo dal titolo apocalittico mi fa spontaneamente pensare a quello che si potrebbe definire “l’inizio della fine”; pochi paragrafi dopo mi accorgo che non mi sbagliavo : i ragazzi della neo banda malavitosa mirano a qualcosa di molto grande che senza dubbio li distruggerà :il dominio su Roma.
25 dicembre 2008
Scialoja ha scoperto la banda ! sprofondata nella poltrona lo maledico ….non può finire ora ! le poche pagine iniziali infatti bastano per affezionarsi a questi giovani sbandati : così lontani dalla nostra realtà attuale ma allo stesso tempo dotati di una tale volontà e audacia da far nascere nel lettore un sentimento di ammirazione.
28 29 dicembre 2008
In questi due giorni la lettura è diventata frenetica ;nelle ultime pagine è comparsa una nuova ed enigmatica figura : il Vecchio.
Questo burattinaio del sistema globale lascia con il fiato sospeso, è infatti impossibile capire quale sia il suo ruolo nella trama: perché un personaggio colto come lui è affiancato da due grezzi spioni come gli agenti Zeta e Pigreco ? che cosa lo lega alla banda della Magliana ?
3 gennaio 2009
Sono giunta al termine della lettura.
È stato come prendere una grande boccata d’aria e immergersi d’un tratto in tutto il sudiciume della società :la droga, la prostituzione, il racket …. Tutto precipita infatti con la morte del Libanese. Egli è l’unico che grazie al suo comportamento lucido e coerente riesce a dare ,paradossalmente, dignità alla banda. Con il suo assassinio la situazione si aggroviglia : i ragazzi iniziano a dividersi le mansioni facendo in realtà di testa loro e molte violenze vengono messe in atto senza un motivo apparente.
Personalmente mi aspettavo che il Freddo, personaggio distante ed enigmatico, avrebbe ripreso le redini del gruppo, ma il suo carattere solitario e l’amore per Roberta lo allontanano poco a poco dall’ottica di una vita malavitosa.
Il Dandi invece, figura in secondo piano all’inizio del romanzo, si impone.
Il Dandi si rivela in effetti un personaggio inquietante : la sua ricerca dello “stile” e il suo vizio per la moda gli conferiscono l’aspetto del boss, ma non il carattere. Per questo cerca aiuto presso la mafia siciliana ,in particolare stringe rapporti con il latitante “Zio Carlo”; questi, un violento assassino, diventa come un padre per il Dandi.
Accanto alla figura spicca prende anche fondamentale importanza nella trama il personaggio di Patrizia.

Quando ho “incontrato” Patrizia sono prima stata gelosa della sua indipendenza e della sua capacità di piegare gli uomini a ogni suo desiderio, che essi siano sbirri o sbandati. Ma con lo scorrere delle pagine la solitudine interiore di questa ragazza si fa sempre più sentire .è l’unico personaggio femminile di spicco del romanzo ma la sua vicinanza alla violenza e all’indifferenza l’hanno privata di ogni tipo di sensibilità. A mio parere Patrizia è paragonabile per la sua potenza sugli uomini al Vecchio, ma rimane un oggetto sessuale ed essendo sempre stata trattata in quanto tale non è mai riuscita ad esprimere sentimenti.

Al contrario Roberta è la ragazza della porta accanto, l’unico legame tra la vita quotidiana e quella della malavita . è lei che apre improvvisamente gli occhi al Freddo :una vita normale è possibile.

È incredibile notare l’evoluzione del carattere del Freddo ;prima un criminale ,dotato però di un ritegno e una compostezza che forzavano all’ammirazione e al rispetto sia i suoi compagni che il lettore stesso. Poi l’entrata in scena di Roberta e la metamorfosi: il ritegno diventa indecisione e la compostezza noia ;il Freddo non è più un lucido soldato bensì un uomo confuso e patetico che si rende improvvisamente conto che tutto ciò che ha fatto era sbagliato.

I personaggi che più ho citato fin’ora sono quelli che più mi hanno colpiti. Tra questi non appare però uno dei personaggi principali : il commissario Scialoja .Penso che questo fatto sia una delle conseguenze del difetto di questo libro …

De Cataldo racconta nel suo libro la storia della nascita della banda della Magliana ;concentra in particolare la sua attenzione sui personaggi di spicco del gruppo,i più forti, quelli che “se la passano meglio” ,trattandosi poi di un romanzo l’autore aggiunge dettagli (fantastici ?) che stuzzicano l’immaginazione del lettore :donne ,paillettes ,soldi e piste di cocaina.

Mai si parla però delle conseguenze disastrose di quest’organizzazione malavitosa sulla vita dei comuni cittadini ;il lettore non si sente quindi coinvolto e si immedesima nei criminali.

Il personaggio del commissario invece appare troppo tardi perché ci si possa immedesimare in lui, gli viene affibbiato un ruolo di “guasta feste “che interrompe i giochi dei criminali che si divertivano così tanto nella città.

Avendo letto Gomorra è facile fare un paragone tra i due libri. Da un lato Saviano descrive la malavita nei suoi aspetti più cruenti e patetici,approfondendo l’impatto sociale di quest’organizzazione ; dall’alto De Cataldo si limita a descrivere il crimine dall’interno .

Solo dopo aver finito il romanzo ci si sente in colpa per essersi immedesimati nei criminali della Magliana ,ma non si riesce comunque a provare indignazione e senso di colpa, che invece, mi hanno subito assalita dopo aver letto Gomorra.

Giulia Gabr.
PRIMA DELLA LETTURA
C’era una fila piuttosto notevole per “Gomorra”, una decina di persone per ogni copia della biblioteca...ho optato per “Romanzo Criminale”...
In realtà sono abbastanza curiosa di leggerlo, non avevo mai pensato neanche di aprirlo. Su Sky stanno trasmettendo la serie televisiva e tutte le volte che vedevo la pubblicità pensavo “Ma chi è che guarda questa roba?”. Per non parlare del film che ho abilmente evitato nonostante sia stato in programmazione quest’estate al cinema all’aperto per due mesi (ed è stata una vera impresa dato che, onestamente, non è che ci siano poi tante cose da fare a Castello in estate). Alla fine comunque, per alcune coincidenze “fatali” lo leggerò.

Non mi sembra un libro come quello di Saviano, non ha fatto tanto scalpore ed è rimasto nella sua nicchia. Comunque è strano come alla fine un libro possa entrare a fare parte della tua vita: come quando senti una parola che non conoscevi, la fai tua e dopo sembra che tutti aspettassero te per cominciare ad usarla, e inizi a sentirla pronunciata ovunque...Adesso sembra che fossi una reietta sociale perché fino al dicembre del 2008 l’avevo snobbato totalmente. Sembra che tutti lo abbiano letto, oppure abbiano visto il film o la serie...e fortunatamente a quanto pare è piaciuto quasi a tutti. Ne hanno perfino parlato su “Costume e Società”, la rubrica del tg2 che, per tradizione, guardo sempre prima di Natale. “Se non sapete che cosa regalare ai vostri cari, un libro è sempre una scelta sicura...e “Romanzo criminale”, di Giancarlo De Cataldo, è un successo assicurato!”. Insomma questa strana congiura mi inquieta però in compenso non vedo l’ora di leggerlo.

Mi mancano poche pagine per finire “Bonjour Tristesse” e cominciare RC. Pensandoci è stata una fortuna che io abbia scelto quello e non “Gomorra”...Saviano mi urta i nervi. Adesso che vuole andarsene dall’Italia poi, proprio non lo sopporto più. E’ il genere di persona che fa fortuna denunciando le colpe dell’Italia, come i giornalisti di Report ma non apriamo neanche il discorso. Mi hanno sempre insegnato ad amare il mio paese, che non è sicuramente perfetto, quindi non approvo una scelta che è stata fatta da Saviano, sapendo che lo avrebbe portato al successo...certo sono sicura che ha anche dei meriti e che la libera critica non può che fare bene ma, tra l’altro, va ad alimentare una serie di pregiudizi internazionali sulla mafia italiana. Ci chiamano mafiosi ma poi chi è che idolatra film come “Il padrino” ecc..? comunque adesso vado davvero a finire il libro così poi posso cominciare RC.

DOPO LA LETTURA
Avrei dovuto sicuramente tenere un diario costantemente mentre leggevo il libro, ma dopo averlo fatto per un po’ mi sono resa conto che stava venendo malissimo e che mi stava martoriando il piacere del libro: sono sicura che annotare alcuni concetti di saggi e articoli sia fondamentale. Però RC mi è piaciuto molto e continuare ad interrompere la lettura per scrivere delle osservazioni, tra l’altro anche piuttosto banali, mi faceva quasi male.

Alla fine della lettura mi sono sentita travolta dall’ammontare di informazioni che avevo ricevuto mentre scorrevo le pagine. Una serie di fatti, date, nomi, alcuni reali ed alcuni fittizi, insomma è un romanzo che va letto facendo una discreta attenzione alle sottigliezze dell’autore. Per esempio è interessante come fa proseguire la storia: non attraverso una semplice narrazione ma anche grazie all’aiuto dei verbali dei processi, che sicuramente conosce come le sue tasche, essendo giudice. Ci sono anche altre cose meno tecniche di cui mi sono resa conto solo dopo la lettura, quando sono andata a informarmi sui fatti veri legati alla stesura del libro. Per esempio: si parla spesso di un certo Cutolo, che per me non era un nome noto. Invece si tratta di un vero boss, della Camorra mi pare, arrestato con successo ancora prima della mia nascita. Poi è interessante come De Cataldo non abbia inventato poi così tanti fatti: ci sono interi siti dedicati alla ricostruzione delle relazioni tra i personaggi del libro e i veri appartenenti alla banda. L’altra sera sono andata a letto tardissimo perché mi ero davvero addentrata tra articoli dei primi anni ’90 relativi agli arresti, alle uccisioni e alle morti dei vari malavitosi...Sono legati a un gran numero di fatti di cronaca che ricordo di aver visto passare ai telegiornali mentre crescevo, per esempio alla scomparsa di Emanuela Orlandi.

Mi è sembrato che il libro fosse diviso in due parti: prima e dopo la morte del Libanese. Credo, infatti, che quando questo personaggio forte, che comunque può essere considerato come il protagonista delle vicende, sparisce dalla scena, innanzitutto sorprende il lettore. Non immaginavo che sarebbe morto così presto nella storia. Secondo poi da quando il Libanese scompare cambia radicalmente l’andamento della narrazione: prima la banda aveva successo, avevo perfino cominciato ad ammirare la precisione con cui avevano organizzato il contrabbando degli stupefacenti e la tecnica pulita con cui tenevano in pugno tutta Roma (preoccupante…), quando muore il capo però, il gruppo si disperde e per la prima volta comincia ad attraversare dei guai seri con la giustizia. Iniziano allora i noiosi verbali dei processi e i racconti di vendette personali interne alla banda, che ne causeranno eventualmente la fine. Comincia anche a perdersi la tensione narrativa: il libro diventa più lento e meno interessante, o almeno si legge peggio anche se comunque i fatti narrati (che sembrano pressoché i resoconti dei veri processi ai membri della Magliana) prendono ancora abbastanza. Infine l’epilogo finale, dal sapore amaro, mi ha lasciata un po’ delusa: certo non mi aspettavo un lieto fine, però almeno una netta e definitiva conclusione dei conti si. Invece così, con il Freddo malato e la maggior parte degli altri membri secondari della banda a piede libero non sembra proprio una vera fine.

Secondo me De Cataldo non si è concentrato abbastanza su alcune vicende che invece ho trovato molto interessanti: in particolare sull’evasione del Freddo. Certo, se fosse stato per me avrei scritto un libro sulla storia d’amore tra un boss della malavita e una brava ragazza...perché sono quel genere di persona...però così non ha lasciato neanche spazio all’immaginazione, nemmeno un piccolo pretesto per sognare: la storia era fredda e lineare, insomma non un libro adatto a me da quel punto di vista.

Tristissima la conclusione in Sud America con Roberta che ha dovuto rinunciare ad avere un bambino per motivi di salute...io avrei calcato un po’ più la mano...

Curiosità: Enrico De Pedis (Dandi) è sepolto nella Basilica di Sant’Apollinare dopo essere stato riesumato da Verano. E’ riuscito a farsi seppellire lì per i contatti che aveva con il Vaticano cui pagava laute tangenti..

Una cosa inquietante sono i posti dove si svolge la vicenda: le osterie “Il nuovo mondo” e “Il Perilli” sono ristoranti dove ho mangiato anch’io e dove Dandi e il Libanese mangiano spesso all’inizio della storia il “Full ‘80” era una locale che è chiuso un paio di anni fa. Il libro si apre con Dandi che passeggia fuori dalle mura del cimitero di mia madre...Insomma il libro dovrebbe essere frutto della fantasia dell’autore, ma non poi così tanto...

Interessante come le vicende della Magliana che nella realtà sono così strettamente legate con la vita politica degli anni ’80, nel libro si sviluppino attorno ad alcuni cardini rappresentati da avvenimenti tragici che hanno scioccato l’Italia. L’omicidio Moro è probabilmente il primo. Mi pare che la velata accusa (non poi così velata) allo Stato da parte dell’autore di aver lasciato perdere e aver aspettato il ritrovamento del cadavere con inerzia sia infondato o almeno un po’ gratuito, però lo scenario della strage di Bologna visto attraverso gli occhi di un gruppo di persone di cui di solito non si ascoltano le testimonianze è sicuramente originale. Interessante anche l’accenno ai funerali di Berlinguer che hanno sconvolto così tanto la scena politica e sociale italiana da non poter non essere citati. Stavo per mettermi a piangere quando De Cataldo descrive l’anniversario della bomba alla stazione di Bologna. Carmelo Bene che legge dalle Due Torri è una scena che mi è molto cara. Mio padre me ne parlava sempre quando ero piccola, dicendo che il partito aveva organizzato un autobus da Imola per andare a sentire le celebrazioni e che aveva colto l’occasione per portare mia madre che non aveva mai sentito Dante essendo appena arrivata dalla Gran Bretagna (mamma ricorda quel giorno con meno gioia, dicendo che non capiva niente e che applaudiva quando lo facevano tutti gli altri).

Romanzo Criminale il film

Non ho resistito: dopo aver letto il libro non ho potuto fare a meno di vedere il film. Anche perché Kim Rossi Stuart nei panni del Freddo è da non perdere. La produzione cinematografica era molto più drastica del libro: la fine era proprio come l’avrei voluta, con un generale spargimento di sangue che concludeva tutte le faccende in sospeso. Gigio, che nel libro è una figura piuttosto complessa, soprattutto per la sua relazione con il fratello, nel film è una marionetta che serve esclusivamente come pretesto per far scoppiare la vendetta tra i membri della banda. Il Nero viene trasformato in un personaggio radicale, anche lui perde di spessore e la sua fine arriva molto prima che nel libro. Mancano molti altri protagonisti: Nembo Kid, Donatella, Vanessa e molte storie che rendevano il romanzo ricco di spunti, comunque tutto sommato mantiene l’interesse nonostante, tra l’altro, sia un film particolarmente lungo. Il finale che ho già citato doveva servire come morale, e quindi si discosta dalla realtà molto più di quello di De Cataldo. Placido sembra voler dimostrare che i delinquenti sono vittima della loro stessa medicina, mentre in realtà molti dei personaggi che nel film spariscono, finiscono in carcere o muoiono, sono tutt’ora in libertà. Comunque anche questo espediente ha una sua necessità. Credo che a noi Italiani non piaccia essere ricordati che il destino e la giustizia non puniscono severamente i criminali, non sempre almeno. Soprattutto siamo costretti a prendere delle posizioni molto più nette, a essere molto più rigidi per non essere considerati dei “mafiosi” nel resto del mondo. Questa cosa fa schifo, me ne rendo conto ogni volta che vado a stare dai miei cugini a Nottingham, sono convinti che viviamo in una specie di avventurosa “favoletta” simile al “Padrino”, non considerano neanche che per noi la mafia, la camorra...sono problemi seri con cui molti italiani devono convivere. E invece quando lo capiscono prendono le distanze da noi “mafiosi” come se tutti fossimo dei criminali, senza pensare alle persone che veramente prendono posizione nei confronti della malavita e non idolatrano personaggi fittizi come Don Vito Corleone. Insomma sembrerà un luogo comune ma se dei romanzi come “Romanzo Criminale” o “Gomorra” possono far capire a noi per primi ma anche e soprattutto agli altri che in Italia le varie mafie sono realtà tangibili ma che ci sono persone che ci combattono giornalmente senza accontentarsi di sopportarle ciecamente, allora dovremmo sicuramente pubblicarne di più.

martedì 2 dicembre 2008

Una lettera...Riscritture da Machiavelli

Riscritture sul modello della lettera a Francesco Vettori di Nicolò Machiavelli

Compagno, illustre e assai prezioso apud mihi,
ti rendo notizia di ciò che affanna e allieta il mio viver quotidiano, quivi, presso questa regione straniera fiorente e redditizia da un lato, ma assai triste e amara dall’altra.
Ben ti è indubbio qual sia stato il mio iter studiorum, al quale mi sono dedicato pienamente durante gli anni più prosperosi della mia giovinezza, quando con cotanta dedizione e temperamento mi sono consacrato allo studio giuridico.
E pur la sorte riservato non ha per me curriculum grato e lieto, segregandomi dalla mia amata terra natia e conducendomi in un sito ove lo sconforto colma le mie giornate.
Mi levo ogni giorno con la fioca luce dell’alba, rammento, dopo una notte trascorsa in compagnia di liete o burrascose emozioni, la mia parca condizione di vita e approntandomi mens et corpus al travaglio imminente.
Ed ecco che la mia gravosa giornata trascorsa in una stanza tetra, assemblando materiale primo per un congegno meccanico, apporta al mio animo il rimorso di un intensa attività mentale repressa dal ripetuto gesto lavorativo dato dal mio compito manuale in questa infinita catena di montaggio.
E proprio il peso e il rimuginare della mia mente deabilitano la mia persona, mai quanto la fatica del corpo.
Al termine delle ore solari, seguitamente, fatto ritorno al mio rifugio, abbandono la mente ai nitidi e malinconici ricordi della mia terra vagheggiando su una presunta realizzazione di cui la speranza persisterà solamente nel mio animo, e dedicando le poche ore che precedono il mio assopimento ad una immersione totale nelle raccolte di norme giuridiche che mi funsero da manuale allora e che mi fungono da sedativo oggi, leggendo inoltre quotidiano e divulgazioni legislative acquistate coi miei pochi risparmi, che non occorrono ad altro se non per la mia fugace ma intensa ed unica attività di svago nelle mie giornate.
Spero la tua situazione non sia altrettanto irta di difficoltà e sconforto, al contrario mi auguro tu possa in risposta raccontarmi delle tue giornate, strappando alla mia persona quel sorriso che da tanto ormai non mi è più concesso.


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Grandissima Duchessa, “la vita fugge et non si arresta un’hora”.
Dico questo poiché mi parea di aver perso la vostra corrispondenza, sento stata voi assai tempo senza scrivermi. Pensavo che lo vostro impegno fusse così magno da non poter più dedicare un minimo di tempo a una povera contadina come me, che altro non fa che cultivare le vostre terre.
Ricordo bene la vostra ultima lettera, et sono proprio convinta che vostra figlia darà alla luce la bambina più bella della corte. Et voi, mia signora, sarete sicuramente un magno esempio per questa maraviglia di Dio.
Allorchè io son altro che una povera donna, altro non posso fare che dirvi, in questa lettera, qual sia la vita mia. Uomini non riempiono le mie giornate e pargoli nemmeno, ma io sono contenta, et, hora come hora, pace trovo et non ò da far guerra.
Io mi sto in una piccola capanna ricoperta d’edera, vicino a la fattoria. Levavami innanzi dì, con il chicchirichio dell’ormai vecchio gallo che domina tutto il pollaio, scorgo i primi raggi di sole, che illuminano la natura. Mi piacerebbe che voi, mia grande signora, poteste scorgere questa maraviglia, che solo co li occhi può essere capita, ma intendo lo vostro impegno, che tempo non dà per queste piccolezze.
Non potendo rimanere incantata davanti a ciò che più amo, io me ne vò verso le vostre terre, per raccogliere i frutti che il buon Dio ci manda. Le galline starnazzanti mi fanno da sottofondo alla mia faticosa et intensa giornata et lo sole, alto nel cielo, schiarisce lo mio bianco viso.
Partitami dai campi, dopo il mezzodì, mi attendono i panni della vostra corte. Et tutto il pomeriggio me ne sto a piegare e spiegare camicie, sottovesti e gran vestiti, tutti di gran lusso e con tanto di pizzo, come voi ben saprete.
Ho sempre amato li vostri abiti et mi sarebbe piaciuto fare da cucire vestiti per le cene più belle. Ma il mio compito è altro, et i miei campi, in vero, mi attendono.
Al calar delle ombre, esausta, mi ritorno nella mia verde capanna et entro nello studiolo, ove mi attendono amorose passioni et tante historie d’amore. Spogliatami dalla veste cotidiana, piena di fango e piccole foglie, mi metto la mia curiale sottoveste et entro nelle più antique corti, dove cavallieri et dame inseguono il loro amore. Ho da confessare, in vero, che amo leggere i libri che occupano gli scaffali della vostra biblioteca. L’hora della lettura, prima del riposo, mi porta la mente lontana da ogni terra. Il grande Dante, o Petrarca, o Machiavelli, mi raccontano historie davvero commoventi et le dolci fanciulle sovengono la mia gioventù.
Poiché la mia vita di alcuna noia gode, devo affrettarmi a salutare voi, Duchessa, per ritornare a li campi.
Spero di non avervi annoiata con queste dicerie sulla mia vita et a voi, cui Fortuna à posto in mano la bella vita, chiedo adunque che mi scriviate ancora, allietandomi con le vostre novelle. A voi mi raccomando. Sis felix.

Die, 25 novembris, 1513

Annalisa Valentino in Bologna.

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Superbo philosopho in nomen de amicitia nostra

Intelligentissimo oratore, molto tempo trascorse dall’ultimo scambio della nostra amabile corrispondenza, e tale fu la distanza temporale dall’arrivo di quell’egregio foglio di papiro che ne dimenticai il sommo contenuto; di quest’atto mi vogliate perdonare, ma non potei fare a meno che rileggerlo per spolverare la memoria, ormai indebolita dallo scarso uso che faccio di essa; infatti vivendo ove non la esercito in alcun modo, data la mancanza di impegni, i meccanismi rapidissimi di un tempo si stanno arrugenendo
Voi mi raccontaste come passasse le giornate la signoria vostra, e tali racconti suscitarono in me cotanta invidia da rendermi nervosa per qualche tempo. Ritrovandomi infatti in questa desolazione campagnola che opprime la fecondità della mia mente legata alla realtà cittadina, non posso far altro che rattristarmi per la monotonia delle mie giornate, scandite dal suono della clessidra posta sulla mia scrivania, loco nel quale, essendo inverno inoltrato, trascorro la maggior parte del tempo, leggendo e rileggendo libri di ogni genere, e affogando il pensiero nelle stimabili opere di antichi autori latini. Essi sono gli unici che elevano il livello semi-inesistente delle mie attività quotidiane.
Il pungente gelo di questo novembre non permette nemmeno di fare qualche passo nel parco della magione campagnola, et mi consolo solo a guardare il superbo paesaggio naturae che la vista dalle finestre regala; sento che entro qualche dies un manto di neve candida si poserà sul paesaggio circostante la villa, donando immenso piacere nel permettermi di osservare cotanta magnificenza degli eventi naturali; da quando mi trovo a vivere in medio naturae infatti riesco a cogliere tutte le gioie che quest’ultima lascia percepire, e ad emozionarmi per avvenimenti che pur essendo semplici e ripetivi, continuano a sorprendermi proprio per la loro semplicità; rimango incantata persino dal cadere della pioggia, poiché ogni goccia compie un movimento nel suo piccolo unico e irripetibile, esaltato ancor di più nella nevicata, poiché i bianchi fiocchi cadono più lentamente ed è più semplice riuscire a notarne il morbido percorso. Non capisco se è in atto una trasformazione in naturista, o un’assunzione della semplice mentalità contadina.
Certo, il gaudio provocato dalla natura non riesce a colmare il vuoto incomabile della separazione dalla mia amatissima Firenze, al cui pensiero sono legate infinite immagini bellissime e care alla persona mia. Oh, che dolore se penso che sono stata esiliata dalla mia città natale, loco ove trascorsi la maior parte della vita mia; che ricordi magnifici volano nella mente al solo pronunciarne il nome: Firenze, magnificum nomen.
Mi rincresce avervi tediato con la malinconia che proxime mi opprime, ma non potei resistere a sfogarmi con un amico, tanto amabile come lo è la vostra estrosissima persona.
Non attendo più che mi scriviate le novità della vostra vita impegnata, perché so che non riuscirà a sollevarmi dalla situazione in cui mi trovo; spero però che possiate raccontarmi qualche aneddoto divertente tale da strappare un sorriso a questo viso malinconico. Sis felix.
Die XXIV Novembris 1513

Livia Pozzi in Bolonia

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Al magnifico legato Nicolò Machiavelli, presso Sant’Andrea in Percussina.

Degnissimo ambasciatore, non sapete quanta gioia mi arreca sapere che il nostro fidato legato, dopo numerose missioni compiute per conto della mia famiglia, ha l’occasione di passare il proprio tempo svolgendo mansioni che lo riportino alle gioie più primordiali dell’essere umano. Sento, nel registro della vostra missiva, pur sempre dolce e soave, un tono ironico che non mi aggrada: la caccia e gli altri badalucchi di cui tanto vi tediate, sono in verità degni del più nobile dei Medici, e mai andrebbero disprezzati. L’unico alletamento che vi rimprovero è quello dell’osteria: mi ha alquanto delusa che un uomo della vostra levatura sociale e culturale si diletti e s’intrattenga con huomini che non hanno che la glabrezza, e sovente neanche quella, da invidiare alle bestie.

In quanto alla mia persona, la mia vita scorre veloce, segnata da una consuetudine di cui spesso mi tedio, ma che realmente mi evita di passare troppo tempo a riflettere sui mali della vita.
La mattina è una gioia potersi levare con il sole, prima che la servetta, Sara, mi porti le vesti. La tunica di lanetta grezza, che indosso sotto la sottana di seta, pruriggina terribilmente, e spesso bramerei di toglierla, anche se il mio desiderio rimane tale in quanto la mia posizione sociale non me lo permette. Tunc amo trascorrere le ore mattutine con i miei tutori e precettori, ne ho quattro in tutto. Il nobile Abelardo mi insegna l’aritmetica, insieme guardiamo le stelle e tracciamo complesse mappe del globo lunare. Corrado, istitutore di lettere e belle arti passa il suo tempo a leggermi brani tratti dai più celebri poemi e dai più tediosi scritti teologici, cercando allo stesso tempo di inculcare nella mia testaccia l’amore per il decorativismo artistico e l’architettura. Infine Frate Lumisio e Don Galeno mi insegnano l’uno gli insegnamenti di Aristotele, l’altro quelli di Ippocrate, sparlandosi sopra come vecchie nutrici. Spesso amo trascorrere l’ora del pasto all’aria aperta, quando il tempo lo permette, osservando insetti e farfalle nei loro mirabolanti voli ellittici, e se invece il cielo è ingrato mi basta poter osservare i lampi e tuoni da sotto il grande porticato con le altre donne di casa, ascoltando qua e là i futili discorsi. Il pomeriggio è, invece, il momento che preferisco: sono infatti le ore che la mia compianta madre aveva riservato alla mia educazione più pratica, ovvero ad affinare le arti che mi permetteranno di trovare un marito galante. Il maestro di canto mi fa arpeggiare e intonare arie sottili, quello di ballo vuole che danzi con la leggiadria e la forza di un cavallo arabo, invece l’uomo che si occupa di istruirmi sulla poesia e sulle lingue di paesi lontani vorrebbe che leggessi poemi romanzi, purtroppo senza troppo successo, infatti la mia volgare cadenza romagnola rovina ogni mio tentativo di musicare la poesia d’oc e d’oil. E’ la sera, però, l’unico momento in cui, dopo che le serve mi hanno lungamente spazzolato i capelli, posso veramente dedicarmi a ciò che amo di più: la lettura di drammi e vicende amorose bretoni e carolingii. Le historie di Ginevra, Tristano, Isotta e Lancillotto sole mi permettono di vagare con la mente, seguendo fili che io stessa ignoravo di conoscere. Attraverso la mia passione rivivono le storie fantastiche e malinconiche di Bradamante e Ruggiero e sfuggo dalla noia della mia realtà. Non mi fraintendete: la mia vita non mi pare ingrata, capisco di trovarmi in condizioni assai agiate e per questo di dover affrontare ben pochi sacrifizi, tuttavia amerei che ci fossero nel mio destino vicende simili a quelle di Pendragone e Igraine, anche se la mia stessa razionalità ne fuggirebbe all’istante.

Immagino risponderete alla mia lettera, perché di voi mi fido indiscutibilmente, sis Felix.

Leonora Sforza, in Imola (Giulia Gabr.)

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15 novembre 1527

Carissima amica, con gran piacimento ho letto la lettera da voi mandatami et mi sono allietata venendo a sapere della vostra buona salute.

Mi felicito assai per le vostre imminenti nozze col magnifico duca fiorentino, et confermo la presenza mia alla sopracitata cerimonia, sendo una tal gioia da poter condividere con voi, affettuosa et modesta compagna.

Nel leggere le parole vostre ho sentito il desiderio di contarvi un poco come io passo le giornate, qui nella villa de’ parenti miei.

Cotesto casolare si erge in tucto lo splendor suo nel bel mezzo di un verde et rigoglioso bosco, selvaggio. Fiori et antique fiere mi pare di scorgere ovunque si posi il mio sguardo et sempre ne rimango incantata.

Appena levata, soglio rinfrescar il mio corpo con dolci acque provenienti da una vicina fonte. Rivestita con pizzi et perle rare, vommene desinare assieme alle domestiche, poiché lunga è la giornata et cupa la solitudine.

Quando la madre mia mi raggiunge comincia ad impartirmi certe lezioni, le quali tu conosci bene. Dapprima mi apprende a filare et cucire: dua hore seduta scomodamente me ne sto sotto il suo sguardo critico. Dipoi vengono le buone maniere, tucto ciò che una giovine nobile come me debbe sapere al fine di potersi maritare et divenire una buona moglie. Non mi è acconsentito parlare molto, poiché una brava figliuola sempre sa quando restare in silenzio et rispettare i genitori suoi.

Quando giungono le ore postprandiali capita che assieme alla balia passeggi attorno alla villa incontrando altre duchesse che come me soffrono la noia. Pertanto diventa molto facile aprire la bocca et discorrere con loro avidamente.

Il padre mio rincasa la sera et desina assieme a noi donne senza però mai guardarci, solo si congeda con un cenno del capo et si ritira nelle stanze sue.

Tandem, all’imbrunire, giunge l’ unica mia vera fonte di letizia: sola, finalmente, esercito il mio spirito et il mio ingegno. Regalatami da poco è una lucida cetra, con la quale volta per volta sto apprendendo a sonar.

Per molte hore dimentico ogni cosa dubbia;proprio come quando venne apud i signori Medici Franciscus Corticius, maestro del duca Cosimo I, et sonò la madrigale sua.

Posso aprire le imposte et sonar mirando le stelle, et figurarmi di essere accompagnata da molti illustri musicanti. I grilli sono i miei ascoltatori et mi acclamano anche quando le note mie sono in disaccordo. Di quest’andare il sonno giunge troppo presto et troppo presto giunge un nuovo giorno.

Vi prego di non scambiare le parole mie con infelicità, sono grata al Signor Iddio che regna nei cieli della vita che mi ha donato. Desidererei che voi ancora mi scriveste avante le vostre nozze, nel caso vogliate dirmi alcuna cosa vi piaccia.

La vostra onesta amica. (Giulia Sc.)

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Pulcherrimae magnificae Lucretiae,

Romae.

Hic et nunc mi coglie voglia repentina di scrivervi tenendo meco il ricordo di vostra leggiadra figura, dell’incedere vostro elegante, del caro volto radioso.

Hora dirovvi qual la vita mia è.

Io mi levo la mattina con il sole et vommene in Firenze a lavorare dove sto hore et hore con carta et inchiostro.

Il far di conto mi consuma, godomi solo nel pensiero di voi, nel pensiero della passione vostra.

L’hora del desinare trasferiscome nell’osteria dove mi mangio di quelli cibi che mio paululo patrimonio comporta.

Quivi incontro huomini, dimando cose, intendo cose che io vi harei a dire.

Venuta la sera, mi ritorno in casa et entro nel mio scrittoio e mi pasco di quell’unico cibo che, dopo di voi, è mio.

O dolci letture, tra verba vostra mi cullo, non sento noia, fatica.

E tandem mi profondo nelle cogitazioni del sommo poeta, nella figura angelicata di Beatrice et il cor mio per voi sussulta.

Voi vorreste, alba radiosa, che io lasciassi questa vita et venissi a godere con voi la vostra.

Io lo farò, tal è il disio di trovarmi al cospetto vostro; della fede et amor mio non dubitate.

Desidererei che voi mi scrivessi quello che nel vostro cuore et cervello passe.

Eternamente vostro.

Die VII Decembris 1516, Lapo Guidi in San Casciano (Arianna D.)

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Gentile affine,
rispondo tempestivamente alla tua lettera, la quale, devo ammettere, mi ha colto (e non poco) di sorpresa.
Grazie per l'interessamento, spero di non divertirti troppo con il racconto di una mia qualsiasi giornata nel mondo. Da qualche mese a questa parte compio con regolarità le stesse azioni, poichè mi sono impiegata in un'attività produttiva autogestita. Almeno per il momento, trascorro gran parte del dì all'interno della mia dimora. Le scheggie di tempo che rimangono, le spargo fra la cura della mia persona e quella dei miei rapporti interpersonali. Anche se il lavoro mi assorbe completamente, la brama di poter un giorno svincolarmi dai meccanismi del mondo del mercato è troppo forte per giacere inascoltata. Quando le mie 16 ore di veglia stanno per volgere al termine,inizia la parte migliore di questo racconto. Mi spoglio quella veste cotidiana tracimante di comodità e solitudine, et mi metto panni antichi, intrisi dell'inebriante profumo di naftalina. Corpetti, camicie dagli ampi e candidi smerli, lunghissime gonne (ideate per coprire -mon dieu!- le scandalose caviglie), io indosso.
E così, sommozzatrice degli abissi di Allan Poe, Wells e Stevenson, ancora una volta mi immergo nelle meraviglie dell'epoca vittoriana. Discutibili mode e costumi del tempo a parte, impagabile è lo spettacolo offerto dalle controversie del labile animo dinnanzi all'evidenza del progresso materiale e scientifico del mondo occidentale dell'epoca. Homo homini lupus, i prodotti della curiosità squisitamente umana spaventarono parte dei figli di Adamo stessi.
Ed è per questo che amo le opere di questi autori, ostentatrici delle angosce degli uomini. Gli occidentali di allora videro vacillare il già funesto esperimento di indipendenza da Dio, ossia le loro arcaiche convinzioni, frantumate da profani individui, seguaci di profane pratiche. La psicologia mi appaga, devo ammetterlo. La mera illusione di stringere una fiaccola in pugno quando mi avventuro all'interno dell'angusta spelonca della mente umana, mi appaga.
Ti auguro ogni bene,
Claudia

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Ad meam dilectissimam et doctissimam amicam, Bologna.
“tanto gentile e tanto onesta pare” la possibilità di rispondere alla tua adorabile lettera. Sentendomi quasi fortunata nel possedere cotanto affetto da parte tua, l’animo mio si sentirà vincolato a questa penna e a questo foglio di carta fin quando non riuscirò a enunciarti tutto ciò che necessito dirti. Qui nella mia magione le ore passano lentamente una dopo l’altra e il rintocco dell’orologio si fa sempre più flebile a mano a mano che si avvicina l’oscurità. Scilicet lo studio incombe, per la maggior parte del tempo, sul mio bisogno di fare cose a me gradite, ma codesto è un peso che sopporto con blando piacere. La mattina alla prime luci, una forza alla quale sono ormai abituata mi impone di scendere dal mio giaciglio utilizzato fino ad allora. Venuto il momento di andare a scuola a istruirmi, mi preparo a sopportare intere ore che mi separano dal mio ritorno a casa. Per quale ragione faccio tutto ciò? La tua è una lecita domanda, infatti io ho una semplice risposta. Più vado a scuola e più apprendo sul mondo che c’è intorno a me, e più apprendo ciò, più capisco il linguaggio che parlan gli scrittori antichi o contemporanei di cui amo leggere le mirabili storie. Tolkien, Calvino, Stoker e Dante aspettano soltanto la mia presenza, la sera, per discorrere degli argomenti più disparati. Ed io non vivo che per quel momento della giornata, tutte le giornate. Ti prego vehementer di rispondermi al più presto raccontandomi le ultime novità. Sis felix.

Lucretia
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martedì 14 ottobre 2008

Orlando Furioso, canto IV (Atlante)

Dal canto IV, il palazzo di acciaio 

12
Vi sorge in mezzo un sasso che la cima
d'un bel muro d'acciar tutta si fascia;
e quella tanto inverso il ciel sublima,
che quanto ha intorno, inferior si lascia.
Non faccia, chi non vola, andarvi stima;
che spesa indarno vi saria ogni ambascia.
Brunel disse: - Ecco dove prigionieri
il mago tien le donne e i cavallieri. -

13
Da quattro canti era tagliato, e tale
che parea dritto a fil de la sinopia.
Da nessun lato nè sentier nè scale
v'eran, che di salir facesser copia:
e ben appar che d'animal ch'abbia ale
sia quella stanza nido e tana propia.
Quivi la donna esser conosce l'ora
di tor l'annello, e far che Brunel mora.

(...)

6
Non stette molto a uscir fuor de la porta
l'incantator, ch'udì 'l suono e la voce.
L'alato corridor per l'aria il porta
contra costei, che sembra uomo feroce.
La donna da principio si conforta;
che vede che colui poco le nuoce:
non porta lancia nè spada nè mazza,
ch'a forar l'abbia o romper la corazza.

17
Da la sinistra sol lo scudo avea,
tutto coperto di seta vermiglia;
ne la man destra un libro, onde facea
nascer, leggendo, l'alta maraviglia:
che la lancia talor correr parea,
e fatto avea a piè d'un batter le ciglia;
talor parea ferir con mazza o stocco,
e lontano era, e non avea alcun tocco.

18
Non è finto il destrier, ma naturale,
ch'una giumenta generò d'un Grifo:
simile al padre avea la piuma e l'ale,
li piedi anteriori, il capo e il grifo;
in tutte l'altre membra parea quale
era la madre, e chiamasi ippogrifo;
che nei monti Rifei vengon, ma rari,
molto di là dagli aghiacciati mari.

19
Quivi per forza lo tirò d'incanto;
e poi che l'ebbe, ad altro non attese,
e con studio e fatica operò tanto,
ch'a sella e briglia il cavalcò in un mese:
così ch'in terra e in aria e in ogni canto
lo facea volteggiar senza contese.
Non finzion d'incanto, come il resto,
ma vero e natural si vedea questo.

(...)

8
Di su la soglia Atlante un sasso tolle,
di caratteri e strani segni isculto.
Sotto, vasi vi son, che chiamano olle,
che fuman sempre, e dentro han foco occulto.
L'incantator le spezza; e a un tratto il colle
riman deserto, inospite ed inculto;
nè muro appar nè torre in alcun lato,
come se mai castel non vi sia stato.

39
Sbrigossi de la donna il mago alora,
come fa spesso il tordo da la ragna;
e con lui sparve il suo castello a un'ora,
e lasciò in libertà quella compagna.
Le donne e i cavallier si trovar fuora
de le superbe stanze alla campagna:
e furon di lor molte a chi ne dolse;
che tal franchezza un gran piacer lor tolse.