martedì 19 settembre 2017

UMANESIMO

Che cosa significa “Umanesimo” Umanesimo è termine storiografico moderno e designa una civiltà che si è sviluppata a partire dalla fine del XIV secolo, lungo l’intero arco del XV e oltre, e che ha avuto il proprio fine culturale nel recupero filologico dei classici latini e greci e nell’affermazione dei valori terreni dell’individuo che quei classici avevano appunto esaltato. Il vocabolo Umanesimo deriva da un termine legato a tale civiltà: humanista, che nel lat. del XV sec. indicava l’insegnante di humanae litterae (letteralmente, di dottrine – litterae – che riguardano l’uomo –humanae -), quelle discipline che in epoca classica erano definite studia humanitatis (studi liberali, o, letteralmente, “studi dell’umanità”) e cioè, secondo la definizione di Cicerone, la grammatica, la retorica, la poesia, la storia e la filosofia. La voce umanista indica però oggi, in senso più ampio, la figura intellettuale tipica dell’Umanesimo, cioè il cultore di studi classici, il filologo appassionato che scopre e pubblica i testi dell’antichità latina e greca, il propugnatore del valore dell’individualità umana; figura che ha in Petrarca il suo primo esempio. L’aggettivo umanistico normalmente indica “ciò che appartiene alla civiltà dell’Umanesimo”. Esso può assumere un significato specifico in alcune locuzioni. Per esempio, in ambito universitario si distinguono le Facoltà umanistiche (Lettere e Filosofia, Lingue, Legge, ecc.) da quelle scientifiche (Matematica, Fisica, Chimica, ecc.). D’altra parte, con scienze umane vengono solitamente indicate in modo generico discipline e studi di tipo storico, letterario o filosofico in contrapposizione a quelli di tipo tecnico o scientifico.
Da R. Luperini, P. Cataldi, L. Marchiani, F. Marchese. La scrittura e l’interpretazione, vol. 1 tomo II, G.B. Palumbo, pag. 5



Loredana Chines (docente in unibo)
".....gli umanisti coltivarono uno straordinario sogno, quello di costruire una nuova cultura, un nuovo mondo, nuovi orizzonti di sapere, grazie a un'inedita coscienza della misura della realtà, i cui confini sono ridisegnati dalla rinnovata forza della parola acquisita con gli strumenti della filologia, la scienza che pesa le cose, definisce gli ambiti del sapere e le potenzialità dell’uomo. In tal senso aveva aperto la strada la lezione petrarchesca - che recepita nella prima metà del Quattrocento soprattutto dalla genialità di LorenzoValla e consegnata alle espressioni più fertili
dell’umanesimo successivo -vede nella parola rifondata lo strumento di ricostruzione degli orizzonti di tutti i saperi, e nella correttezza linguistica del latino il potenziale fondamento per
una rinascita della cultura e della civiltà non solo delle lettere ma di tutte le discipline. Un testo
“risanato” con le armi filologiche poteva non solo restituire emendate le lezioni degli antichi,
ma anche sovvertire luoghi comuni, interpretazioni distorte, sillogismi stantii, che si insinuavano
tra le righe dei volumi di diritto, di medicina, e di ogni dottrina tramandata dal passato che
trovasse posto nel sapere consolidato o addirittura concreta e abituale applicazione nella vita
pratica e civile.
In questa “ragione” filologica è la prima grande espressione della modernità degli umanisti, che è
ricerca di un "metodo".

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Il Discorso sulla dignità dell'uomo di Pico della Mirandola (1463-1494) è considerato il «Manifesto del Rinascimento». Scritto nel 1486, contiene infatti l'esaltazione della creatura umana, come creatura libera e capace di conoscere e dominare la realtà intera. Ancor più di questo però il Discorso parla del compito della creatura umana: questa, priva di immagine predeterminata, deve perseguire la propria compiutezza con un percorso che muove dall'autodisciplina morale, attraversa la pluralità delle immagini e dei saperi, e tende alla meta più alta, non rappresentabile. Pico della Mirandola ritiene che questo paradigma di sviluppo dell'esistenza sia universale, perché rintracciabile in tutte le tradizioni.

L' esordio:
           "Ho letto, negli scritti degli arabi, padri venerandi, che Abdallah Saraceno, essendo gli stato                 domandato che cosa in questa sorta di scena del mondo gli apparisse più ammirevole, rispose               che nulla gli  appariva più ammirevole dell'uomo. Con questo si accorda il detto di Mercurio:               «Grande miracolo è l'uomo»"

Ricordiamo le parole con cui Dio si rivolge alla sua creatura:

      Stabilì infine l'ottimo artefice che a colui, cui non poteva dare nulla di proprio, fosse comune tutto quanto era proprio dei singoli. Prese dunque l'uomo, opera di immagine indefinita, e postolo nel centro del mondo così gli parlò: « Non ti abbiamo dato, o Adamo, né una sede determinata, né aspetto peculiare, né alcuna funzione speciale, affinché tu possa ottenere e possedere secondo il suo desiderio e consiglio quella sede, quell'aspetto, quella funzione che ti sarai scelto. La natura definita degli altri è costretta entro leggi da noi prescritte. Tu, non costretto da alcuna angustia, la definirai secondo il tuo arbitrio, cui ti ho affidato. Ti ho posto nel mezzo del mondo, perché di là potessi, guardandoti intorno, scorgere meglio tutto ciò che è nel mondo. Non ti abbiamo fatto né celeste né terreno, né mortale né immortale, affinché tu possa tranquillamente darti la forma che vuoi, come libero e sovrano scultore e artefice di te stesso. Potrai degenerare negli esseri inferiori, i bruti; potrai rigenerarti, se lo vorrai, nello cose superiori, divine» 
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"IL QUATTROCENTO È UN SECOLO DI GESTAZIONE ED ELABORAZIONE. È IL PASSAGGIO DALL’ETÀ EROICA ALL’ETÀ BORGHESE, DALLA SOCIETÀ CAVALLERESCA ALLA SOCIETÀ CIVILE, DALLA FEDE E DALL’AUTORITÀ AL LIBERO ESAME, DALL’ASCETISMO E SIMBOLISMO ALLO STUDIO DIRETTO DELLA NATURA E DELL’UOMO. Il secolo ha tendenze varie e spiccate, ma non ne ha la coscienza. Nella sua coscienza c’è solo questo di chiaro e distinto: che la perfezione è nei classici e che in quel modello bisogna conformarsi"
(Francesco de Sanctis, introduzione ai Libri della famiglia di Leon Battista Alberti)

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Giovanni Bessarione (1403-1472), lettera per il dono della sua biblioteca a Venezia (1468):
Fin dalla più tenera età mi adoperai senza risparmiare fatiche, cura, impegno per procurarmi libri in ogni genere di discipline... i libri sono pieni delle parole dei saggi, degli esempi degli antichi.

Vivunt, conversantur loquunturque nobiscum, docent nos, instruunt, consolantur, resque a memoria nostra remotissimas quasi praesentes nobis exhibent, et ante oculos ponunt. Tanta est eorum potestas, tanta dignitas, tanta majestas, tantum denique numen, ut nisi libri forent, rudes omnes essemus atque indocti, nullam fere praeteritarum rerum memoria, nullum exemplum.
Vivono, discorrono, parlano con noi, ci insegnano, ci ammaestrano, ci consolano, ci fanno presentire ponendocele sotto gli occhi cose remotissime dalla nostra memoria. Tanto grande è il loro potere, la loro dignità, la loro maestà, e, infine, la loro santità che, se non ci fossero i libri, noi saremmo tutti rozzi e ignoranti, senza alcun ricordo del passato, senza alcun esempio.





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