sabato 27 febbraio 2021

Galileo Galilei



















  • Galilei dalla A alla Z

A come abiura: “Io Galileo, fìglio di Vincenzo Galileo di Fiorenza, dell'età mia d'anni 70, constituto personalmente in giudizio, e inginocchiato avanti di voi Emin.mi e Rev.mi Cardinali, in tutta la Republica Cristiana contro l'eretica pravità generali Inquisitori; avendo davanti gl'occhi miei li sacrosanti Vangeli, quali tocco con le proprie mani, giuro che sempre ho creduto, credo adesso, e con l'aiuto di Dio crederò per l'avvenire, tutto quello che tiene, predica e insegna la Santa Cattolica e Apostolica Chiesa…” Comincia così il testo dell’abiura che lo scienziato e letterato Galileo Galilei è costretto a leggere davanti alla congregazione del Santo Uffizio il 22 giugno 1633.
Le ostilità tra lo scienziato pisano e le autorità ecclesiastiche erano di già lunga data: il suo affermare che alle verità della Bibbia fossero da anteporre quelle della natura, vero testo scritto da Dio di suo pugno, e la sua adesione alle teorie copernicane (“non il sole gira intorno alla terra, ma la terra e gli altri pianeti girano attorno al sole”) avevano portato la Chiesa nel 1616 a diffidarlo dal continuare a divulgare le tesi di Copernico, ritenute inconciliabili con la fede cattolica e perciò  condannate.
Ma nel 1623 Galileo pubblica “Il saggiatore” in cui polemizzava con il gesuita Orazio Grassi, che aveva scritto un trattato sull’apparizione di tre comete la “Disputatio astronomica”, pieno di errori ed aveva attaccato lo scienziato pisano nel “Libra astronomica ac philosophica”.
Ma a far scattare la condanna è la pubblicazione del “Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo tolemaico e copernicano” (1632) in cui, seppur celata dietro un’accurata esposizione del sistema tolemaico e di quello copernicano, mostra una approvazione convinta di quest’ultima tesi.
Sebbene l’abiura sia una grave mortificazione della cultura laica da parte di una Chiesa intransigente ed oscurantista verso Galileo il Sant’uffizio non usa la mano pesante: gli viene, infatti, risparmiata la prigione a favore della residenza coatta dapprima a Siena presso l’arcivescovo Piccolomini poi nel suo villino di Arcetri, dove si spegne nel 1642. Nel 1979, su richiesta di Papa  Giovanni Paolo II, viene fatta un'indagine sulla condanna di Galileo che si conclude con l'ammissione da parte della commissione papale dell'errore della Chiesa.
A come Autorità: Grande era l’impegno di Galileo nel mettere in discussione il “principio di autorità”, che faceva sì che le discussioni scientifiche venissero decise basandosi esclusivamente sul prestigio riconosciuto dell’autore di un testo (ogni tesi contraria veniva zittita ricorrendo alla frase “Ipse dixit” letteralmente “l'ha detto lui”).
Libri come  la Bibbia ed i Vangeli, in quanto testi rivelati, non potevano essere sottoposti a critica ed anche alcuni testi dei massimi filosofi greci erano considerati portatori di verità incontestabili.
Proprio in nome di questi testi inattaccabili venivano respinte le novità proposte da Galileo: le scoperte scaturite dalle osservazioni con il telescopio mettevano in dubbio le affermazioni delle Sacre Scritture e quelle delle opere di Aristotele.
L’inconsistenza del “principio di autorità” viene dimostrata dallo scienziato pisano nel “Dialogo sopra i massimi sistemi”: “…Avete voi forse dubbi che quando Aristotele vedesse le novità scoperte in cielo, egli non fosse per mutare opinioni, per emendar i suoi libri e per accostarsi alle più sensate dottrine, discacciando da sé quei così poveretti di cervello che troppo pusillanimemente s’inducono a voler sostenere ogni suo detto, senza intendere che quando Aristotele fosse tale quale essi se lo figurano, sarebbe un cervello indocile, una mente ostinata, un animo pieno di barbarie, un voler tirannico, che, reputando tutti gli altri come pecore stolide, volesse che i suoi decreti fossero anteposti ai sensi, all’esperienza, alla natura stessa? Sono i suoi seguaci che hanno dato l’autorità ad Aristotele  e non esso che se la sia usurpata o presa; e perché è più facile il coprirsi sotto lo scudo d’un altro che comparire a faccia aperta, temono né si ardiscono d’allontanarsi un sol passo, e più tosto che mettere qualche alterazione nel cielo di Aristotele, vogliono impertinentemente negare quelle che vedono nel cielo della natura…”
C come Cannocchiale: Le notizie circa l’invenzione di imperfetti strumenti d’ingrandimento da parte di artigiani olandesi spinsero nel 1609 Galileo Galilei a costruire il cannocchiale. Non si tratta di una sua invenzione ma di uno strumento da lui perfezionato.
Galileo utilizzò il cannocchiale per scrutare il cielo: riuscì a stabilire l’aspetto della superficie lunare, a distinguere i vari elementi che compongono la via lattea, a scoprire quattro satelliti di Giove da lui chiamati “astri medicei”, in onore del granduca di Toscana Cosimo II, e gli anelli di Saturno.
D come Dialogo: L’opera più importante di Galileo Galilei è senza dubbio il “Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo”, scritto non in latino ma in volgare fiorentino al fine di raggiungere un pubblico più vasto rispetto a quello elitario in grado di leggere il latino.
Il trattato, redatto in forma di dialogo, è diviso in quattro giornate.
Nella prima vi è la confutazione della teoria aristotelica sulla diversa natura dei corpi celesti e della terra asserendo la basilare unità del cosmo e l’uniformità dei movimenti che in esso accadono.
Nella seconda viene negata la validità delle obiezioni al moto della terra: si tratta di un ragionamento che smontando punto per punto le critiche degli avversari della tesi copernicana implicitamente ne afferma la veridicità.
La terza giornata riprende la tesi copernicana del movimento di rivoluzione orbitale della terra bilanciando le varie affermazioni favorevoli e contrarie.
Nella quarta Galileo enuncia la teoria, che il tempo si incaricherà di rivelare errata, del flusso e del riflusso delle maree, che secondo lo scienziato pisano sarebbe dovuto all’accumularsi dei due moti, quello traslazione e quello di rotazione orbitale della terra introno al proprio asse.
Per evitare di esporsi alla reazione delle autorità ecclesiastiche Galileo ricorre alla forma del dialogo che consente all’autore di prendere le distanze  dalle tesi esposte mettendole in bocca ai personaggi del libro.
In quattro giornate si svolge a Venezia la discussione tra tre personaggi: Filippo Salviati, portavoce dello scienziato toscano, che sostiene le tesi copernicane basandosi su rigorosi ragionamenti logici, Giovan Francesco Sagredo, entusiastico sostenitore delle idee copernicane spesso frenato nella sua esaltazione dal Salviati stesso e Simplicio, filosofo aristotelico, incarnazione di quegli acritici assertori del “principio di autorità” tanto deprecato da Galilei.
La gerarchia ecclesiastica temeva che il metodo sperimentale di Galileo potesse in qualche modo mettere in discussione la verità dei dogmi assoluti sui quali è fondata la fede.
Sebbene credente convinto, Galileo asserisce la supremazia della natura, libro scritto da Dio, rispetto alle affermazioni contenute nella Bibbia: se le sacre scritture necessitano di venir interpretate, la natura è invece chiarissima nelle sue manifestazioni libera dal pericolo di fraintendimenti.
Nel 1633 il libro viene posto sotto sequestro e Galileo intimato a presentarsi di fronte al Sant’Uffizio.
D come Discorsi: Nel 1638 Galileo pubblica il suo capolavoro scientifico: “Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze”.
In questo testo viene abbandonato il tono ironico e polemico del “Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo” in favore di una trattazione più strettamente scientifica.
Anche il carattere divulgativo dei “Dialoghi” viene messo da parte per cedere il passo ad un lavoro indirizzato alla comunità scientifica internazionale; d’altronde dopo l’abiura e la condanna patita è presumibile che l’ormai anziano scienziato non volesse avere più avere a che fare con il tribunale del Sant’Uffizio e l’intento di evitare la censura ecclesiastica è confermato dal fatto che l’opera venne pubblicata a Leida in Olanda.
In comune con “I dialoghi” il testo ha la forma dialogica e la divisione in quattro giornate (anche se ne furono aggiunte altre due postume): le prime due dedicate alla definizione della “scienza nuova” ed alla resistenza dei materiali,  le altre due all’esposizione dei risultati sullo studio del moto e lo studio del moto dei proietti (con l’inserimento del testo in latino “De motu”, scritto in gioventù).
F come Fede: Nonostante i tempestosi rapporti che ebbe durante la sua vita con le autorità ecclesiastiche Galileo Galilei era un credente convinto e sincero.
Alcune sue pagine mostrano l’esaltazione del fedele che nella strabiliante armonia della natura percepisce la presenza di Dio; Galileo è un uomo di scienza che però nel suo percorso sul cammino della conoscenza non abbandona mai l’umiltà e la consapevolezza dei limiti umani, poiché per lui l’esistenza di Dio è una realtà indiscutibile.
Cerca di risolvere il difficile rapporto di un uomo di scienza con la fede nelle “lettere copernicane” affermando come fede e scienza siano due sfere della vita umana che vanno tenute rigorosamente separate.
La natura è un campo di indagine che Dio ha creato in modo che l’uomo possa trarre da solo le conclusioni su ciò che osserva mentre le sacre scritture riguardano questioni quali il destino ultimo dell’umanità e le relazioni tra l’uomo e Dio.
Il primato della natura sulla Bibbia è dovuto essenzialmente al fatto che il libro è ispirato da Dio ma scritto dagli uomini laddove la natura è creata direttamente da Dio con il linguaggio della matematica
L come Letteratura: Galileo si interessò anche di letteratura, negli anni giovanili aveva ricevuto una buona educazione letteraria, come dimostrano le opere giovanili “Postille all’Orlando furioso” e “Considerazioni al Tasso”.
Nelle “Considerazioni al Tasso” contrappone lo stile dello scrittore di Sorrento, da lui ritenuto oscuro e complicato (la “Gerusalemme liberata” viene comparata ad un gabinetto di oggetti rari ed eccentrici), a quello più sciolto e naturale di Ludovico Ariosto.
L’Ariosto era lo scrittore preferito da Galileo nonché il modello di riferimento della sua prosa chiara e pulita.
L come Lettere copernicane: Di fronte alle prime accuse di eresia Galileo reagisce inviando le famose “lettere copernicane” in cui analizza i rapporti tra fede e scienza ed espone le sue idee sulle teorie di Copernico.
La lettera al benedettino bresciano Benedetto Castelli (1613) tratta del rapporto tra sacre scritture e scienza. Galileo, cattolico sincero, opera una distinzione fra i campi d’azione della Bibbia, le cui affermazioni sono legge in campo religioso e morale,  e la scienza le cui conclusioni sono indiscutibili perché essa interpreta un linguaggio inequivocabile come quello della natura.
Questa lettera costò allo scienziato pisano l’ingiunzione del cardinale Bellarmino ad abbandonare la divulgazione delle tesi copernicane.
Nella lettera alla Granduchessa di Toscana Cristina di Lorena dopo la consueta difesa di Copernico, dichiara che in caso di contrasto tra i risultati scientifici e le affermazioni della Bibbia sono i teologi a dover rivedere la loro interpretazione dei testi sacri e non gli scienziati a dover rinunciare ai risultati dei propri esperimenti.
Le altre due lettere vennero inviate a monsignor Dini nel febbraio e marzo del 1615.
L come Luna: Galileo sarebbe riuscito a dipingere la luna. Almeno a questa conclusione sono giunti due studiosi dello scienziato pisano, Horst  Bredekamp dell’Humboldt Universität di Berlino e William Shea, titolare della Cattedra Galileiana dell’Università di Padova studiando i cinque disegni acquerellati di cui era in precedenza venuto in possesso l’antiquario newyorkese Richard Lan. Si tratterebbe di cinque disegni che lo scienziato avrebbe buttato giù alle pagine otto, nove e dieci della prima copia del “Sidereus Nuncius”.
M come Metodo sperimentale: Galileo Galilei, come già aveva fatto Leonardo da Vinci prima di lui, rigetta l’allora dominante “principio di autorità” per il quale bisognava accettare come verità rivelate i testi degli autori antichi consacrati sui quali si fondava la conoscenza umana. Per Galileo è fondamentale l’osservazione diretta dei fenomeni della natura, che è il libro che Dio ha scritto secondo leggi matematiche, ed effettuare esperimenti con ciò che essa ci mette a disposizione.
Pur non negando l’importanza degli aspetti teorici lo scienziato pisano afferma la necessità di sottoporre le scoperte e le tesi ad esperimenti che le convalidino o le confutino: non vi può essere, insomma, una scienza costruita soltanto sui libri e sulla loro interpretazione.
P come Principi fisici: Galileo pose le basi per la fisica moderna formulando il principio di inerzia, quello della relatività dei moti e quello della composizione dei movimenti.
Il principio di inerzia (o di conservazione del movimento) afferma che un corpo rimane nel suo stato di quiete o di moto rettilineo uniforme a meno che non intervenga una forza esterna a cambiare tale stato.
Il principio di relatività di Galilei afferma che se ci troviamo su di una nave e lasciamo cadere un corpo noi avvertiamo solo il movimento verticale di caduta ma non  il movimento orizzontale del corpo, che non implica alcuna variazione di posizione del corpo rispetto alla nave poiché è un movimento che il corpo e la nave hanno in comune.
Con il principio della composizione dei movimenti Galileo sostiene che un punto sottoposto a due o più movimenti contemporanei si trova in ogni istante nella stessa posizione in cui si sarebbe trovato se gli stessi movimenti fossero avvenuti separatamente, successivamente e nello stesso intervallo di tempo. In altre parole un corpo sottoposto simultaneamente all’azione di due moti differenti si sposta lungo la risultante.
Un’altra teoria di grande importanza formulata dallo scienziato pisano è quella della caduta dei gravi con cui giunse a stabilire che i corpi nel vuoto (cioè non sottoposti alla resistenza dell'aria o di qualsiasi altro mezzo materiale) cadono con accelerazione uniforme, qualunque sia il materiale di cui sono composti, il loro peso o la loro forma, e che lo spazio che essi coprono durante la caduta e' proporzionale al quadrato del tempo utilizzato per percorrerla.
Sulla base di queste sue scoperte Galileo riesce ad invalidare le tesi di coloro che negavano la possibilità di un movimento della terra: l’esempio di Tolomeo secondo il quale gli uccelli in volo se la terra si muovesse non riuscirebbero a stare al passo con punti di riferimento presi sulla terra (un albero, una casa etc…) viene smentito in primo luogo dimostrando come essi mantengano in volo  il loro moto inerziale ed in secondo luogo come assecondando la rotazione del globo terrestre (moto che coinvolge anche l’aria dell’atmosfera) non incorrano nell’impedimento rappresentato dall’attrito dell’aria.
S come Saggiatore: La polemica con il gesuita Orazio Grassi, sorta in seguito alla pubblicazione del lavoro di quest’ultimo la “Disputatio astronomica” in cui l’autore cerca di spiegare il fenomeno dell’apparizione di tre comete nel 1618, porta il gesuita a criticare pesantemente Galileo nella “Libra astronomica ac philosophica”.
In risposta lo scienziato pisano scrive il “Saggiatore”, brillante opuscolo in cui analizza in volgare il testo in latino dell’avversario mettendone in evidenza gli errori.
Il tempo ha poi dimostrato come le affermazioni di Galileo nella disputa non fossero in realtà molto fondate ma l’opera rimane comunque valida nel suo sostegno al metodo sperimentale galileiano e nella sua stroncatura del principio di autorità su cui ancora si fondava la ricerca del Grassi.
Sidereus Nuncius: Nel 1610 Galileo Galilei espone le sensazionali scoperte ottenute con il telescopio nel “Sidereus Nuncius”.
Questo breve ed affascinante testo scritto in latino rende pubbliche le scoperte dei quattro satelliti principali di Giove (Io, Europa, Ganimede e Callisto), la composizione della Via Lattea e l’aspetto della superficie lunare.
Il testo è dedicato al Granduca di Toscana Cosimo II, a cui è intitolata la scoperta dei satelliti di Giove, chiamati infatti “pianeti medicei”. (Fabio Massimo Penna)

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http://www.scienzainrete.it/galileo-secondo-calvino

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http://www.raistoria.rai.it/articoli-programma/galileo-la-scienza-e-la-fede/25960/default.aspx

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L'influsso di Galileo nella letteratura 


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Galileo, secondo Leopardi


C’è un filo rosso  che lega la storia della grande letteratura italiana, da Dante a Galileo fino a Giacomo Leopardi. Questo filo rosso – anzi questa «vocazione profonda» – diceva Italo Calvino, è la filosofia naturale. Qui tre grandi – e poi lo stesso Calvino – hanno considerato «l’opera letteraria come mappa del mondo e dello scibile».
Cosicché tra la grande letteratura e la scienza, in Italia, non c’è mai stata quella separazione denunciata cinquant’anni fa da Charles Percy Snow nel suo famoso libro sulle «due culture». Ma c’è stata una reciproca influenza? Quanto la figura di Dante ha contato per Galileo? E quanto Galileo ha pesato su Leopardi?
Alla prima domanda si può rispondere di sì: chi è venuto dopo si è lasciato influenzare dal grande che lo ha preceduto. Basti ricordare, per quanto riguarda Galileo, che la sua carriera accademica è iniziata virtualmente nel 1588, con le “ Due lezioni all’Accademia Fiorentina circa la figura, sito e grandezza dell’Inferno di Dante”, il ventiquattrenne figlio del musicista Vincenzio dimostra di essere sia un valente matematico che un profondo conoscitore del Sommo Poeta.
Per quanto riguarda l’influenza che lo stesso Galileo avrà su Leopardi abbiamo prove meno evidenti. Nelle sue opere il poeta nato a Recanati non cita spesso lo scienziato nato a Pisa. Eppure è possibile dimostrare che «la figura e l’opera di Galileo [hanno un ruolo decisivo] sulla filosofia di Leopardi e sul suo stile» [Gaspare Polizzi, Galileo in Leopardi, Le Lettere, 2008].
Malgrado il nome dell’Artista Toscano (le definizione è del poeta John Milton) ricorra relativamente poco negli scritti di Leopardi la presenza di Galileo nel pensiero e persino nello stile del poeta di Recanati non solo c’è, ma è addirittura decisiva.
Leopardi, infatti, non solo ha letto Galileo e le opere su Galileo. Ma lo considera: il più grande fisico di tutti i tempi; un filosofo di primaria importanza nella storia del pensiero umano; e, insieme a Dante, appunto, il più grande rappresentante della letteratura italiana. Galileo è «per la sua magnanimità nel pensare e nello scrivere» un (forse “il”) modello per Leopardi.
Nella giovanile Storia dell’Astronomia (1813) scrive: «L’anno 1564 sarà sempre memorabile per la nascita accaduta in esso dell’immortale Galileo Galilei, celeberrimo astronomo e matematico». Dello scienziato toscano il quindicenne Leopardi in questa sua storia parla a lungo, limitandosi a ricostruirne la biografia scientifica. Tuttavia ci sono alcune caratterizzazioni interessanti. Per esempio quando dice che: «Galilei era filosofo, era matematico; due prerogative, che lo resero abilissimo a porre i fondamenti della scienza del moto».
Il tema della complessità e pienezza della figura di Galileo ritorna negli scritti dello Zibaldone, dove il poeta di Recanati esalta in Galileo lo scienziato: «forse il più gran fisico e matematico del mondo» (20 agosto 1821); il  filosofo: per Leopardi, Galileo è «il primo riformatore della filosofia e dello spirito umano» (1 dicembre 1828); e, infine, lo scrittore: per la sua «precisa efficacia e scolpitezza evidente» (1818) e per la «magnanimità e di pensare e di scrivere» (1827).
Ma è nella Crestomazia della Prosa (scritto nel 1827), che Leopardi parla più a lungo e diffusamente di Galileo, raccogliendo in un’antologia molto meditata diciassette diversi brani dello scienziato toscano sulla natura e sulla conoscenza.
Leopardi ha dunque per tutta la sua vita una sintonia di fondo con Galileo. Ciò non toglie che il poeta modifica, aggiorna e affina nel tempo i suoi giudizi sullo scienziato toscano. Col passare degli anni Leopardi scopre aspetti nuovi e sempre più profondi di Galileo.
Ma, per quanto grande e addirittura decisiva sia l’influenza che Galileo esercita su Leopardi, l’epistemologia del poeta di Recanati non si esaurisce totalmente in quella dello scienziato pisano. Anzi, vi sono talvolta delle differenze. Entrambi, certo, considerano lo studio della natura, attraverso certe dimostrazioni e sensate esperienze, il nuovo modo, superiore, di filosofare intorno ai fatti del mondo fisico. Ed entrambi credono nella “potenza della ragione”, capace di leggere il libro della natura e superare le false credenze degli antichi. Tuttavia Leopardi insiste molto più di Galileo sui limiti della conoscenza umana anche sui fatti della natura e, dunque, sulla relatività delle verità scientifiche. Ha un’attenzione per la matematica e per il suo valore epistemologico molto meno marcata dello scienziato toscano. E, più di Galileo, focalizza la sua attenzione sulla complessità del mondo. Anzi, per dare risalto a questa sua visione molto articolata del mondo fisico – dove piccole cause all’apparenza insignificanti possono produrre grandi effetti – Leopardi non esita a “tirare” fino a distorcere il pensiero di Galileo.
Galileo, dunque, ha una grande influenza su Leopardi. Ma, come sempre accade con i giganti che salgono sulle spalle di giganti, Leopardi ha una lettura critica e personale di Galileo.
C’è, infine, una ultima considerazione sottolineata anche da Gaspare Polizzi e che ha un qualche riverbero nell’attualità. Nei suoi scritti Leopardi mostra una certa riluttanza a parlare della teoria copernicana e opera delle censure abbastanza sistematiche sul “processo a Galileo”. Uno dei motivi è da attribuire al conflitto a distanza con il padre intorno alla legittimità della proposta galileiana. Ma, probabilmente, c’è anche una certa ritrosia – forse un vero e proprio timore – del giovane di Recanati ad assumere posizioni non conformi alla lettura che la Chiesa cattolica a due secoli di distanza ancora fa del «processo a Galileo».

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“Imparare dalla luna” significa  non arrendersi alla semplificazione, alla riduzione delle proprietà che sfuggono la possibilità di essere quantificate. Significa scegliere di preservare la complessità, la ricchezza, la relazionalità e acquisire coscienza della potenza vitale di queste dimensioni. 

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                                       La luna di Mèlies
Film muto Viaggio sulla luna 
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Sidereus Nuncius, poesia di Primo Levi


Ho visto Venere bicorne
Navigare soave nel sereno.
Ho visto valli e monti sulla Luna
E Saturno trigemino
Io Galileo, primo fra gli umani;
Quattro stelle aggirarsi intorno a Giove,
E la Via Lattea scindersi
In legioni infinite di mondi nuovi.
Ho visto, non creduto, macchie presaghe
Inquinare la faccia del Sole.
Quest’occhiale l’ho costruito io,
Uomo dotto ma di mani sagaci:
Io ne ho polito i vetri, io l’ho puntato al Cielo
Come si punterebbe una bombarda.
Io sono stato che ho sfondato il Cielo
Prima che il Sole mi bruciasse gli occhi.
Prima che il Sole mi bruciasse gli occhi
Ho dovuto piegarmi a dire
Che non vedevo quello che vedevo.
Colui che m’ha avvinto alla terra
Non scatenava terremoti né folgori,
Era di voce dimessa e piana,
Aveva la faccia di ognuno.
L’avvoltoio che mi rode ogni sera
Ha la faccia di ognuno.


Primo Levi, Ad ora incerta,
11 aprile 1984
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BERTOLD BRECHT,  VITA DI GALILEO  (1938....1956)





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