giovedì 10 ottobre 2019

Lucrezio

Biografia di Tito Lucrezio Caro al PDF:
 http://www.nonsolobiografie.it/personaggi/biografia_lucrezio-1.pdf
oppure a questo estratto:
http://www2.classics.unibo.it/Didattica/LatBC/IntroLucr.pdf




Da Gian Biagio Conte , Insegnamenti per un lettore sublime, prefazione a De R. N. ,  Rizzoli, alcuni concetti chiave: 




Il De R N assomma la forma epica, nella quale Epicuro  diventa l’eroe campione; e la 
forma didascalica, già presente del resto nella forma epica che non solo racconta, ma comunica anche conoscenze, e in modo autonomo  nella tradizione della poesia scientifica cosmologica ed astronomica.
Dunque Lucrezio si pone tra Omero ed Esiodo, il De R. N. è poema di fisica e di filosofia.
Scelta “vacitinatoria” del De R. N.: Lucrezio è vate perché invaso dalle parole di un altro: Epicuro
Virgilio, fine conoscitore del De R. N.,  ne continua in altra forma l’esempio (Georgiche), ma fa anche un passo indietro perché propone una conoscenza meno cosmica e più quotidiana. (“il compito grande ora sta nelle cose piccole” dice Virgilio nelle Georgiche ( III, 290 sgg)
Lucrezio ha una funzione “missionaria”: per questo la sua poesia è “calda” ed impegnata.
La dottrina di Epicuro si identifica con la dottrina della salvazione per gli uomini prigionieri di errori e necessità dolorose, strumento di liberazione per ogni uomo.
In Lucrezio l’ANALOGIA è la forma strutturata del pensiero che conosce. Il salto metaforico consente di scoprire l’unità dell’esistente nella profusione delle varietà. In De R. N. II 688-694 Lucrezio dice che le lettere dell’alfabeto, variamente disponendosi, formano parole diverse, così gli atomi, variamente raggruppandosi in figurae (forme, strutture) producono cose diverse.


 «Il sublime è l’eco della grandezza interiore» (Pseudo Longino, vedi): il lettore di sublime è sublime egli pure, e sublime è l’effetto di meraviglia nella descrizione del cosmo espressa da Lucrezio. La natura grandiosa e sublime, una volta mostrate le sue leggi nascoste,  funziona da specchio che riflette l’animo di chi la contempla. La mente prima si perde o si spaura, poi fatta saggia supera il potere della natura quando ne comprende la segreta norma.
Anche nell’incipit la grandiosa raffigurazione dell’epifania divina da statica diventa dinamica.

OVIDIO scrive “carmina sublimis tunc sunt peritura Lucreti/exitio terras cum dabit una dies”(Amores 1, 15,23)  : “Del sublime Lucrezio i carmi periranno solo quando terminerà la terra”.

Suave, mari magno turbantibus aequora ventis, 
e terra magnum alterius spectare laborem;
non quia vexari quemquamst iocunda voluptas,
sed quibus ipse malis careas quia cernere suave est. 


Ivano Dionigi (Unibo), Lucrezio, la grammatica del cosmo

http://www2.classics.unibo.it/Didattica/LatBC/Dionigi.pdf

Lucrezio 1,136-145
Nec me animi fallit Graiorum obscura reperta
difficile inlustrare Latinis versibus esse,
multa novis verbis praesertim cum sit agendum
propter egestatem linguae et rerum novitatem;
sed tua me virtus tamen et sperata voluptas 140
suavis amicitiae quemvis efferre laborem
suadet et inducit noctes vigilare serenas
quaerentem dictis quibus et quo carmine demum
clara tuae possim praepandere lumina menti,
res quibus occultas penitus convisere possis. 145
Né sfugge al mio pensiero ch’è difficile illuminare con
versi latini le oscure scoperte dei Greci, tanto più che
bisogna sovente trattarne con nuove parole, per la povertà
della lingua e la novità delle cose;
eppure il tuo valore, e la gioia ch’io spero della dolce
amicizia, mi persuade a sostenere qualunque fatica e
m’induce a vegliare le notti serene, cercando con quali
parole e quale canto alfine io possa diffondere innanzi alla
tua mente una vivida luce, per cui le cose occulte tu
giunga a veder fino in fondo.
Lucrezio 2,1015-1021
Quin etiam refert nostris in versibus ipsis
cum quibus et quali sint ordine quaeque locata;
namque eadem caelum mare terras flumina solem 1015
significant, eadem fruges arbusta animantis;
si non omnia sunt, at multo maxima pars est
consimilis; verum positura discrepitant res.
sic ipsis in rebus item iam materiai 1019
concursus motus ordo positura figurae 1021
cum permutantur, mutari res quoque debent.
Anzi, nei miei stessi versi ha importanza con quali altre e
in quale ordine ogni lettera sia disposta;
perché gli stessi segni denotano il cielo, il mare, le terre, i
fiumi, il sole, gli stessi le biade, gli alberi, gli animali;
se non tutti, almeno in grandissima parte, sono simili, ma
per la loro posizione è diverso il senso delle parole.
Così anche fra i corpi: appena variano nella materia
gl’incontri, i movimenti l’ordine la disposizione le forme,
i corpi stessi devono mutare.

Abstract
Le leggi che in Lucrezio regolano la struttura atomica della realtà (2, 1019 res materiai) sono anche leggi grammaticali:
concursus motus ordo positura figura (2, 1021) «l’incontro, il moto, l’ordine, la posizione, la forma». Si stabilisce così una completa solidarietà tra gli elementa vocis e gli elementa mundi; per cui il poema si configura come una «esecuzione grammaticale del cosmo».

_______________________________________________

LUCREZIO SCOPERTO NEL RINASCIMENTO! 
Poggio Bracciolini - sul quale Eugenio Garin ha scritto pagine mirabili in Ritratti di umanisti (Bompiani)  -  era nato a Terranuova in Toscana. Nella sua lunga vita (morì quasi ottantenne) «servì» otto Papi. Si diede il compito di cercare nei monasteri, dove giacevano sepolti piccoli e grandi capolavori dell'antichità copiati, nei secoli, dai monaci. E a Fulda - un'abbazia fondata nell'VIII secolo  -  nel 1417 Poggio trovò il De rerum natura: un meraviglioso poema di 7.400 versi in esametri composto da Tito Lucrezio Caro a metà del I secolo a. C.
Con ogni probabilità  quando trovò il De rerum natura e lo fece copiare da uno scrivano, Poggio «conosceva già il nome di Lucrezio tramite Ovidio, Cicerone e altre fonti antiche che aveva studiato con cura insieme ai suoi amici umanisti». Ma «né lui né gli altri avevano letto più di uno o due scampoli della sua scrittura che, a quanto si sapeva, era andata perduta per sempre». E pensare che 1.450 anni prima il De rerum natura era ben conosciuto e molto apprezzato. «L'opera poetica di Lucrezio», aveva scritto Cicerone al fratello Quinto l'11 febbraio del 54 a. C., «è proprio come mi scrivi, rivela uno splendido ingegno, ma anche notevole abilità artistica». Virgilio lo aveva lodato (pur senza nominarlo) nelle Georgiche. E Ovidio aveva scritto estasiato: «I versi del sublime Lucrezio sono destinati a perire solo allora quando in un sol giorno tutta la terra sarà distrutta».
L'unico profilo biografico di Lucrezio era stato scritto alla fine del IV secolo d. C. - cioè centinaia di anni, quasi 500, dopo la morte del poeta - da un grande Padre della Chiesa, san Girolamo, il quale aveva parlato del poeta riferendo «che dopo essere impazzito per un filtro d'amore e aver scritto negli intervalli della follia alcuni libri, che Cicerone emendò, si suicidò all'età di 44 anni». Secondo  la tesi argomentata da Luciano Canfora nella Vita di Lucrezio (Sellerio),  Girolamo elaborò un racconto maligno di pura fantasia, scritto in funzione delle guerre filosofico-religiose della Chiesa del suo tempo. Racconto che nulla aveva a che fare con i termini reali dell'esistenza dell'autore del De rerum natura.
Perché questa ostilità nei confronti di Lucrezio? Alla Chiesa del IV secolo interessava colpire il filosofo che aveva ispirato l'opera di Lucrezio: Epicuro. Epicuro era nato verso la fine del 342 a. C. nell'isola egea di Samo, dove suo padre, un povero maestro ateniese, era emigrato come colono. Aveva raccolto l'eredità di Leucippo di Abdera e del suo allievo Democrito (V secolo a. C.), sostenendo che ogni cosa esistita e che esisterà si compone di minuscoli atomi indistruttibili. Affermava anche che gli dei sono indifferenti alle sorti degli esseri umani. L'altra sua tesi filosofica secondo cui lo scopo supremo della vita è il piacere - seppur definito in termini assai sobri e responsabili - «fu uno scandalo sia per i pagani sia per i loro avversari, gli ebrei prima e i cristiani poi». Tra i primi cristiani, però, ce n'erano stati alcuni, tra cui Tertulliano, che avevano giudicato ammirevoli alcuni elementi dell'epicureismo. Ma quando, dopo Costantino, la religione cristiana si affermò definitivamente, la Chiesa stabilì che le tesi di Epicuro e Lucrezio sulla mortalità dell'anima andassero combattute in ogni modo.
Tale condanna durerà molto a lungo: mille anni dopo, Dante nella Divina Commedia metterà Epicuro all'inferno (Canto X) in bare incandescenti con «tutti suoi seguaci che l'anima col corpo morta fanno». E Lucrezio doveva subire lo stesso trattamento. Così, tra il IV e il IX secolo, il De rerum natura sopravvisse solo per la sua preziosità stilistica, citato in liste di esempi grammaticali e lessicografici, ossia come modello di un corretto uso del latino. 
L’insigne umanista toscano Poggio Bracciolini (1380-1459), appassionato di testi antichi, che fu a lungo segretario apostolico presso la Curia pontificia. Fu lui a scoprire il manoscritto del «De rerum natura» di LucrezioL’insigne umanista toscano Poggio Bracciolini (1380-1459), appassionato di testi antichi, che fu a lungo segretario apostolico presso la Curia pontificia. Fu lui a scoprire il manoscritto del «De rerum natura» di Lucrezio
Fu nel Quattrocento che Francesco Petrarca prima (a partire dal 1330) e poi Giovanni Boccaccio, Coluccio Salutati, cancelliere della Repubblica fiorentina, iniziarono a scoprire quel genere di testi e a diffonderli. Poggio, che arrivò a Roma 25 anni dopo la morte di Petrarca (1374), fu discepolo di quei grandi umanisti. Di volumi da riportare alla luce ce ne erano moltissimi. Nell'antica Grecia si era già sviluppata una grande passione per i volumi, passione che contagiò il mondo mediterraneo. Intorno al 40 a. C., all'incirca dieci anni dopo la morte di Lucrezio, a Roma, sull'Aventino, Asinio Pollione, un amico di Virgilio, costruì la prima biblioteca pubblica. Qualche anno dopo Augusto ne fondò altre due e nel IV secolo se ne contavano 28. Anche i privati che se lo potevano permettere iniziarono ad acquistare libri. Nella distruzione di Ercolano (79 d. C.) fu coperta di lava quella che oggi chiamiamo la Villa dei Papiri, dove erano collezionati innumerevoli rotoli di cui si è salvata la parte interna. Il grammatico Tirannione possedeva 30 mila volumi. Il medico Sereno Sammonico, 60 mila: Roma antica, scrive Greenblatt, era stata contagiata «dalla febbre greca dei libri». Nel corso di quei secoli furono realizzati e venduti decine di migliaia di volumi.


Se non fosse stato per quella missione di Poggio Bracciolini a Fulda forse avremmo perso per sempre (anche se poi se ne ritrovarono altre due copie del IX secolo, ma chissà se qualcuno sarebbe riuscito a leggerle secoli e secoli dopo) -  quello di Lucrezio. 
I principi epicurei
Ogni cosa è fatta di particelle invisibili. Le particelle elementari della materia - «i semi delle cose» - sono eterni. Le particelle elementari sono infinite nel numero, ma limitate nella forma e nelle dimensioni. Le particelle si muovono in un vuoto infinito. L'universo non ha un creatore o un architetto. Ogni cosa prende origine da una «deviazione» (che Lucrezio chiama declinatio, inclinatio o clinamen). La deviazione è la fonte del libero arbitrio. La natura sperimenta senza sosta. L'universo non fu creato per o intorno agli esseri umani. Gli esseri umani non sono unici. La società umana non iniziò in un'età dell'oro in cui prevalevano la tranquillità e l'abbondanza, bensì durante una lotta primitiva per la sopravvivenza. L'anima muore. L'aldilà non esiste. La morte non è nulla per noi. Le religioni organizzate (va tenuto presente che Lucrezio scriveva alcuni decenni prima della nascita di Cristo) sono illusioni superstiziose. Le religioni sono tutte crudeli. Non esistono angeli, demoni o fantasmi. Lo scopo supremo della vita umana è l'aumento del piacere e la riduzione del dolore. Il maggiore ostacolo al piacere non è il dolore, bensì l'illusione. Comprendere la natura delle cose genera profondo stupore.
Poggio mandò il libro appena copiato a un amico, Niccolò Niccoli, perché ne facesse altre copie, senza neanche comprendere bene di chi si trattasse. Qualche anno dopo cercò di rientrarne in possesso («Voglio leggere Lucrezio ma vengo privato della sua presenza: intendi tenerlo per altri dieci anni?», protestava con Niccoli) e però non ci riuscì. Di lì a poco Johannes Gutenberg avrebbe inventato i caratteri mobili e il De rerum natura sarebbe stato finalmente stampato, diffuso e reso, per così dire, eterno. Comunque la sua fortuna fu immediata, già alla fine del Quattrocento. E con essa, quella di Epicuro. Nel 1509 allorché Raffaello dipinse la «Scuola di Atene» - una rappresentazione di omaggio alla filosofia greca - nella Stanza della Segnatura in Vaticano, diede a Platone e Aristotele «il posto d'onore nella luminosa scena», ma sotto l'ampio arco raffigurò anche Epicuro, stabilendo con ciò che la filosofia epicurea potesse «convivere in armonia con la dottrina cristiana», e fosse meritevole di un'attenta discussione da parte dei teologi raffigurati sulla parete opposta. Sbagliava.
Nel dicembre 1516, quasi un secolo dopo il ritrovamento del De rerum natura, il Sinodo fiorentino, un influente gruppo di ecclesiastici d'alto rango, proibì la lettura di Lucrezio nelle scuole. Poi, nel 1551 i teologi del Concilio di Trento misero al bando sia Epicuro che l'opera di Lucrezio. 

Fortuna di Lucrezio 
Ma era tardi. A quel libro si sarebbero ispirati Tommaso Moro, Giordano Bruno, William Shakespeare (e con lui Spencer, Donne, Bacone), Galileo Galilei. I Saggi di Montaigne, pubblicati per la prima volta in Francia nel 1580 e tradotti in inglese nel 1603, contengono quasi cento citazioni dal De rerum natura

Diderot mostra di conoscere bene Lucrezio nel suo scritto Le reve de d’Alembert apparso solo nel 1830 e chiama l’inno a Venere “le plus grand tableau de poésie que je connaisse"
 Ammiratore di Epicuro fu, nel XVII secolo, Isaac Newton, e così anche il presidente degli Stati Uniti Thomas Jefferson, che collezionò ben cinque edizioni latine del De rerum natura e in una lettera a William Short del 31 ottobre 1819 scrisse: «Ritengo che le dottrine autentiche di Epicuro (non quelle attribuite) contengano tutte le cose razionali della filosofia morale che ci hanno lasciato la Grecia e Roma». 
A Epicuro e Lucrezio renderanno omaggio Baruch Spinoza nel Seicento e Charles Darwin nell'Ottocento. Henry Bergson pubblica una scelta di passi lucreziani Extraits de Lucrece e nel 1884 pubblica la prima opera dal titolo… con sottotitolo Il genio di Lucrezio
(ridotto da  in Corriere.it)

_____________________________________________
Ivano Dionigi, Lucrezio, la grammatica del cosmo
Lucrezio 1,136-145
Nec me animi fallit Graiorum obscura reperta
difficile inlustrare Latinis versibus esse,
multa novis verbis praesertim cum sit agendum
propter egestatem linguae et rerum novitatem;
sed tua me virtus tamen et sperata voluptas 140
suavis amicitiae quemvis efferre laborem
suadet et inducit noctes vigilare serenas
quaerentem dictis quibus et quo carmine demum
clara tuae possim praepandere lumina menti,
res quibus occultas penitus convisere possis. 145

Né sfugge al mio pensiero ch’è difficile illuminare con
versi latini le oscure scoperte dei Greci, tanto più che
bisogna sovente trattarne con nuove parole, per la povertà
della lingua e la novità delle cose;
eppure il tuo valore, e la gioia ch’io spero della dolce
amicizia, mi persuade a sostenere qualunque fatica e
m’induce a vegliare le notti serene, cercando con quali
parole e quale canto alfine io possa diffondere innazi alla
tua mente una vivida luce, per cui le cose occulte tu
giunga a veder fino in fondo.

Lucrezio 1,820-821
namque eadem caelum mare terras flumina solem 820
constituunt, eadem fruges arbusta animantis,

Perché gli stessi elementi costituiscono il cielo, il mare, le
terre, i fiumi, il sole, gli stessi le biade, gli alberi, i viventi

Lucrezio 2,1015-1021
Quin etiam refert nostris in versibus ipsis
cum quibus et quali sint ordine quaeque locata;
namque eadem caelum mare terras flumina solem 1015
significant, eadem fruges arbusta animantis;
si non omnia sunt, at multo maxima pars est
consimilis; verum positura discrepitant res.
sic ipsis in rebus item iam materiai 1019
concursus motus ordo positura figurae 1021
cum permutantur, mutari res quoque debent.

Anzi, nei miei stessi versi ha importanza con quali altre e
in quale ordine ogni lettera sia disposta;
perché gli stessi segni denotano il cielo, il mare, le terre, i
fiumi, il sole, gli stessi le biade, gli alberi, gli animali;
se non tutti, almeno in grandissima parte, sono simili, ma
per la loro posizione è diverso il senso delle parole.
Così anche fra i corpi: appena variano nella materia
gl’incontri, i movimenti l’ordine la disposizione le forme,
i corpi stessi devono mutare.
Abstract
Le leggi che in Lucrezio regolano la struttura atomica della realtà (2, 1019 res materiai) sono anche leggi grammaticali:
concursus motus ordo positura figura (2, 1021) «l’incontro, il moto, l’ordine, la posizione, la forma». Si stabilisce così
una completa solidarietà tra gli elementa vocis e gli elementa mundi; per cui il poema si configura come una
«esecuzione grammaticale del cosmo».
Ivano Dionigi (Università di Bologna) si è occupato in particolare di Lucrezio (La natura delle cose, introduzione di G.
B.Conte, traduzione di L. Canali e note di I. Dionigi, Milano, Rizzoli, 20002; Lucrezio. Le parole e le cose, Bologna,
Pàtron, 20053), Seneca (commento al De otio, Brescia, Paideia, 1983, Seneca nella coscienza dell’Europa, Milano, B.
Mondadori, 1999), della fortuna degli autori classici e di storia delle traduzioni (Poeti tradotti e traduttori poeti,

Bologna, Pàtron, 2004).



1 commento:

Francesca ha detto...

Grazie mille per questo post! era quello che ci voleva per ripassare in vista dell'esame di Storia della Cultura e della Tradizione Classica.

- Francesca