http://www.daciamaraini.com/biografia.shtml
Un milione di Marianna
Qui trovi tutte le informazioni sul romanzo
UN SILENZIO CHE FA RUMORE (DI SONIA FASCENDINI)
Questo romanzo inizia in modo inquietante. Una bambina di sette anni viene accompagnata dal padre ad assistere ad un'impiccagione. La ragione? La ragazzina è sordomuta, probabilmente a seguito di un trauma e quindi si pensa che un altro spavento possa farle tornare la parola. La cura per fortuna non provoca danni peggiori del male che vuole guarire.
Siamo agli inizi del settecento in Sicilia nella casa di Marianna, una delle figlie di un nobile e ricco possidente. La bambina ad appena tredici anni viene data in sposa ad uno zio che ha parecchi decenni più di lei. Nonostante la sua infermità che potrebbe relegarla ad un ruolo di secondo piano fa sentire il suo pensiero e trascorre una vita molto più piena di molte altre persone. Ubbidiente e rispettosa verso il marito per educazione, per natura non gli sarà mai succube. Attenta ed amorevole verso i figli non li perderà mai d'occhio, ma senza farli diventare mammoni nè diventarne dipendente. Appassionata di libri darà scandalo per le sue letture progressiste, ma nella vità sarà sempre legata alle tradizioni e ai propri principi. Rispetterà e riverirà i genitori come da educazione ricevuta, ma questo non minerà la sua obiettività verso di loro. Conoscerà le varie forma dell'amore, quello egoista e crudele prima e poi quello sincero: appassionato ma allo steso tempo puro. Viaggerà molto: prima con la mente saltando di pagina in pagina dei numerosi libri di cui si circonderà e poi in modo reale passando con naturalezza da alberghi lussuosi a stamberghe infestate dai pidocchi.
Questo non è solo un romanzo che ci parla di una donna capace di imporsi pur avendo a disposizione solo delle armi spuntate. Ci parla anche della condizione femminile. La modernità ed audacia di Marianna è tanto più evidente se paragonata con la madre, le sorelle e le figlie. Tutte rassegnate al loro destino di oggetti di scambio. Sistemate in convento o cedute a ricchi uomini come fattrici e come pegni per accordi finanziari. Ognuna di loro si rifugia in quello che può. In un amore per i figli che le annulla, nel laudano, tra le braccia dell'amante. Ma nessuna di loro sarà mai se stessa. Peggiore ancora il confronto con la vita di contadine, cameriere e serve. Obbligate ad ubbidire a marito padroni e figli, queste ragazze si accontentano delle briciole e devono pure ringraziare.
Stile abbastanza scorrevole, salvo alcune parti decisamente pesanti. Nel complesso però sarebbe uno di quei libri che si divorano in poco tempo, se non fosse che parecchi sono gli spunti di riflessione. parecchi anche i riferimenti storici che stimolano ad approfondire la conoscenza di quel periodo.
___________________________________________
Brani tratto dal romanzo "La lunga vita di Marianna Ucrìa" (1990) di Dacia Maraini -
CAP I - Incipit
Un padre e una figlia eccoli lì: lui biondo, bello, sorridente, lei goffa, lentigginosa, spaventata. Lui elegante e trasandato, con le calze ciondolanti, la parrucca infilata di traverso, lei chiusa dentro un corsetto amaranto che mette in risalto la carnagione cerea.
La bambina segue nello specchio il padre che, chino, si aggiusta le calze bianche sui polpacci. La bocca è in movimento ma il suono delle parole non la raggiunge, si perde prima di arrivare alle sue orecchie quasi che la distanza visibile che li separa fosse solo un inciampo dell'occhio. Sembrano vicini ma sono lontani mille miglia.
La bambina spia le labbra del padre che ora si muovono più in fretta. Sa cosa le sta dicendo anche se non lo sente: che si sbrighi a salutare la signora madre, che scenda in cortile con lui, che monti di corsa in carrozza perché, come al solito sono in ritardo.
Intanto Raffaele Cuffa che quando è alla "casena" cammina come una volpe a passi leggeri e cauti, ha raggiunto il duca Signoretto e gli porge una larga cesta di vimine intrecciato su cui spicca una croce bianca.
Il duca apre il coperchio con un leggero movimento del polso che la figlia riconosce come uno dei suoi gesti più consueti: è il moto stizzoso con cui getta da una parte le cose che lo annoiano. Quella mano indolente e sensuale si caccia fra le stoffe ben stirate, rabbrividisce al contatto col gelido crocifisso d'argento, dà una strizzata al sacchetto pieno di monete e poi sguscia fuori rapida. Ad un cenno, Raffaele Cuffa si affretta a richiudere la cesta. Ora si tratta solo di fare correre i cavalli fino a Palermo.
Marianna intanto si è precipitata nella camera da letto dei genitori dove trova la madre riversa fra le lenzuola, la camicia gonfia di pizzi che le scivola su una spalla, le dita della mano chiuse attorno alla tabacchiera di smalto.
La bambina si ferma un attimo sopraffatta dall'odore del trinciato al miele che si mescola agli altri effluvi che accompagnano il risveglio materno: olio di rose, sudore rappreso, orina secca, pasticche al profumo di giaggiolo.
La madre stringe a sé la figlia con un gesto di pigra tenerezza.
Marianna vede le labbra che si muovono ma non vuole fare lo sforzo di indovinarne le parole. Sa che le sta dicendo di non attraversare la strada da sola perché sorda com'è potrebbe trovarsi stritolata sotto una carrozza che non ha sentito arrivare. E poi i cani, che siano grandi o piccoli, che stia alla larga dai cani. Le loro code, lo sa bene, si allungano fino ad avvolgersi intorno alla vita delle persone come fanno le chimere e poi zac, ti infilzano con quella punta biforcuta che sei morta e neanche te ne accorgi...Per un momento la bambina fissa lo sguardo sul mento grassoccio della signora madre, sulla bocca bellissima dalle linee pure, sulle guance lisce e rosee, sugli occhi ingenui, arresi e lontani; non diventerò mai come lei, si dice, mai, neanche morta.
CAP XXI . "UNA BIBLIOTECA"
CAP I - Incipit
Un padre e una figlia eccoli lì: lui biondo, bello, sorridente, lei goffa, lentigginosa, spaventata. Lui elegante e trasandato, con le calze ciondolanti, la parrucca infilata di traverso, lei chiusa dentro un corsetto amaranto che mette in risalto la carnagione cerea.
La bambina segue nello specchio il padre che, chino, si aggiusta le calze bianche sui polpacci. La bocca è in movimento ma il suono delle parole non la raggiunge, si perde prima di arrivare alle sue orecchie quasi che la distanza visibile che li separa fosse solo un inciampo dell'occhio. Sembrano vicini ma sono lontani mille miglia.
La bambina spia le labbra del padre che ora si muovono più in fretta. Sa cosa le sta dicendo anche se non lo sente: che si sbrighi a salutare la signora madre, che scenda in cortile con lui, che monti di corsa in carrozza perché, come al solito sono in ritardo.
Intanto Raffaele Cuffa che quando è alla "casena" cammina come una volpe a passi leggeri e cauti, ha raggiunto il duca Signoretto e gli porge una larga cesta di vimine intrecciato su cui spicca una croce bianca.
Il duca apre il coperchio con un leggero movimento del polso che la figlia riconosce come uno dei suoi gesti più consueti: è il moto stizzoso con cui getta da una parte le cose che lo annoiano. Quella mano indolente e sensuale si caccia fra le stoffe ben stirate, rabbrividisce al contatto col gelido crocifisso d'argento, dà una strizzata al sacchetto pieno di monete e poi sguscia fuori rapida. Ad un cenno, Raffaele Cuffa si affretta a richiudere la cesta. Ora si tratta solo di fare correre i cavalli fino a Palermo.
Marianna intanto si è precipitata nella camera da letto dei genitori dove trova la madre riversa fra le lenzuola, la camicia gonfia di pizzi che le scivola su una spalla, le dita della mano chiuse attorno alla tabacchiera di smalto.
La bambina si ferma un attimo sopraffatta dall'odore del trinciato al miele che si mescola agli altri effluvi che accompagnano il risveglio materno: olio di rose, sudore rappreso, orina secca, pasticche al profumo di giaggiolo.
La madre stringe a sé la figlia con un gesto di pigra tenerezza.
Marianna vede le labbra che si muovono ma non vuole fare lo sforzo di indovinarne le parole. Sa che le sta dicendo di non attraversare la strada da sola perché sorda com'è potrebbe trovarsi stritolata sotto una carrozza che non ha sentito arrivare. E poi i cani, che siano grandi o piccoli, che stia alla larga dai cani. Le loro code, lo sa bene, si allungano fino ad avvolgersi intorno alla vita delle persone come fanno le chimere e poi zac, ti infilzano con quella punta biforcuta che sei morta e neanche te ne accorgi...Per un momento la bambina fissa lo sguardo sul mento grassoccio della signora madre, sulla bocca bellissima dalle linee pure, sulle guance lisce e rosee, sugli occhi ingenui, arresi e lontani; non diventerò mai come lei, si dice, mai, neanche morta.
CAP XXI . "UNA BIBLIOTECA"
[...]
Fuori è buio. Il silenzio avvolge Marianna sterile e assoluto. Fra le sue mani un libro d'amore. Le parole, dice lo scrittore, vengono raccolte dagli occhi come grappoli di una vigna sospesa, vengono spremuti dal pensiero che gira come una ruota di mulino e poi, in forma liquida si spargono e scorrono felici per le vene. E questa la divina vendemmia della letteratura?
Trepidare con i personaggi che corrono fra le pagine, bere il succo del pensiero altrui, provare l'ebbrezza rimandata di un piacere che appartiene ad altri. Esaltare i propri sensi attraverso lo spettacolo sempre ripetuto dell'amore in rappresentazione, non è amore anche questo? Che importanza ha che questo amore non sia mai stato vissuto faccia a faccia direttamente? assistere agli abbracci di corpi estranei, ma quanto vicini e noti per via di lettura, non è come viverlo quell'abbraccio, con un privilegio in più, di rimanere padroni di sé?
Un sospetto le attraversa la mente: che il suo sia solo uno spiare i respiri degli altri. Così come cerca di interpretare sulle labbra di chi le sta accanto il ritmo delle frasi, rincorre su queste pagine il farsi e il disfarsi degli amori altrui. Non è una caricatura un po' penosa?
Quante ore ha trascorso in quella biblioteca, imparando a cavare l'oro dalle pietre, setacciando e pulendo per giorni e giorni, gli occhi a mollo nelle acque torbide della letteratura.Che ne ha ricavato? qualche granello di ruvido bitorzoluto sapere. Da un libro all'altro, da una pagina all'altra. Centinaia di storie d'amore, di allegria, di disperazione, di morte,di godimenti, di assassinii, di incontri, di addii. E lei sempre lì seduta su quella poltrona dal centrino ricamato e consunto dietro la testa.
La parte bassa degli scaffali, quelli raggiungibili da mani infantili contengono soprattutto vite di santi: La sequenza di santa Eulalia, La vita di san Leodegario, qualche libro in francese Le jeu de saint Nicolas, il Cymbalum mundi, qualche libro in spagnolo come il Rimado de palacio o il Lazarillo de Tormes. Una montagna di almanacchi: della Luna nuova, degli Amori sotto Marte, del Raccolto, dei Venti; nonché storie di paladini di Francia e alcuni romanzi per signorine che parlano d'amore con ipocrita licenza.
Più sopra, negli scaffali ad altezza d'uomo si possono trovare i classici: dalla Vita nuova all'Orlando furioso, dal De rerum natura ai Dialoghi di Platone nonché qualche romanzo alla moda come il Colloandro fedele e La leggenda delle vergini. Questi erano i libri della biblioteca di villa Ucrìa quando l'ha ereditata Marianna. Ma da quando la frequenta assiduamente i libri sono raddoppiati. Da principio la scusa era lo studio dell'inglese e del francese. E quindi vocabolari, grammatiche, compendii. Poi, qualche libro di viaggi con disegni di mondi lontani e infine, con sempre più ardimento,romanzi moderni, libri di storia, di filosofia.
Da quando i figli sono andati via ha molto più tempo a disposizione. E i libri non le bastano mai. Li ordina a dozzine ma spesso ci mettono dei mesi per arrivare. Come il pacchetto che conteneva il Paradise Lost che è rimasto cinque mesi al porto di Palermo senza che nessuno sapesse dove fosse andato a finire. Oppure la Histoire comique de Francion che è andato perso nel tragitto fra Napoli e la Sicilia in un battello che è affondato al largo di Capri.
Altri li ha prestati e non ricorda più a chi; come i Lais di Maria di Francia che non sono più tornati indietro. O il Romance de Brut che deve essere nelle mani di suo fratello Carloal convento di San Martino delle Scale.
Queste letture che si protraggono fino a notte fonda sono prostranti ma anche dense di piaceri. Marianna non riesce mai a decidersi ad andare a letto. E se non fosse per la sete che quasi sempre la strappa alla lettura continuerebbe fino a giorno.
Uscire da un libro è come uscire dal meglio di sé. Passare dagli archi soffici e ariosi della mente alle goffaggini di un corpo accattone sempre in cerca di qualcosa è comunque una resa. Lasciare persone note e care per ritrovare una se stessa che non ama, chiusa in una contabilità ridicola di giornate che si sommano a giornate come fossero indistinguibili. La sete ha messo il suo zampino in quella quiete sensuale togliendo profumo ai fiori, ispessendo le ombre. Il silenzio di questa notte è soffocante.
Tornata alla biblioteca, alle candele consumate, Marianna si chiede perché queste notti le stanno diventando strette. E perché ogni cosa tenda a precipitare verso l'interno della sua testa come dentro un pozzo dalle acque scure in cui ogni tanto echeggia un tonfo, una caduta, ma di che?
CAP XLIII - FINALE (Marianna si trova a Roma)
In quella quiete meridiana Marianna si chiede se potrebbe mai appropriarsi di questo paesaggio, farsene una casa, un asilo. Tutto le è estraneo e perciò caro. Ma fino a quando si può chiedere alle cose che ci stanno intorno, di rimanere forestiere, perfettamente comprensibili e remote nella loro indecifrabilità?
Il sottrarsi al futuro che le sta apparecchiando la sorte non sarà una sfida troppo grossa per le sue forze? questa voglia di conoscere gente diversa, questa voglia di girovagare, non sarà una superbia inutile, un poco frivola e perversa? Dove andrà a casarsi che ogni casa le pare troppo radicata e prevedibile? Le piacerebbe mettersela sulle spalle come una chiocciola e andare senza sapere dove. Dimenticare la pienezza di un abbraccio desiderato non sarà facile. La chiusa sta lì a ghermire ogni gocciolo di ricordo, ogni mollichella di diletto. Ma ci deve pur essere qualcos'altro che appartiene al mondo dlela saggezza e della contemplazione. Qualcosa che distolga la mente dalle sciocche pretese dei sensi. "E' disdicevole per una signora girare da una locanda all'altra, da un città all'altra senza pace, senza rimedio" direbbe il signor figlio Mariano e avrebbe forse ragione.
Quel correre, quel vagare, quel patire ogni fermata, ogni attesa, non sarà un avvertimento di fine? entrare nell'acqua del fiume, prima con la punta delle scarpe, poi con le caviglie e infine con le ginocchia, con il petto, con la gola. L'acqua non è fredda. Non sarebbe difficile farsi inghiottire da quel turbinio di correnti odorose di foglie marce.
Ma la voglia di riprendere il cammino è più forte. Marianna ferma lo sguardo sulle acque giallognole, gorgoglianti e interroga i suoi silenzi. Ma la risposta che ne riceve è ancora una domanda. Ed è muta.
CAP XLIII - FINALE (Marianna si trova a Roma)
In quella quiete meridiana Marianna si chiede se potrebbe mai appropriarsi di questo paesaggio, farsene una casa, un asilo. Tutto le è estraneo e perciò caro. Ma fino a quando si può chiedere alle cose che ci stanno intorno, di rimanere forestiere, perfettamente comprensibili e remote nella loro indecifrabilità?
Il sottrarsi al futuro che le sta apparecchiando la sorte non sarà una sfida troppo grossa per le sue forze? questa voglia di conoscere gente diversa, questa voglia di girovagare, non sarà una superbia inutile, un poco frivola e perversa? Dove andrà a casarsi che ogni casa le pare troppo radicata e prevedibile? Le piacerebbe mettersela sulle spalle come una chiocciola e andare senza sapere dove. Dimenticare la pienezza di un abbraccio desiderato non sarà facile. La chiusa sta lì a ghermire ogni gocciolo di ricordo, ogni mollichella di diletto. Ma ci deve pur essere qualcos'altro che appartiene al mondo dlela saggezza e della contemplazione. Qualcosa che distolga la mente dalle sciocche pretese dei sensi. "E' disdicevole per una signora girare da una locanda all'altra, da un città all'altra senza pace, senza rimedio" direbbe il signor figlio Mariano e avrebbe forse ragione.
Quel correre, quel vagare, quel patire ogni fermata, ogni attesa, non sarà un avvertimento di fine? entrare nell'acqua del fiume, prima con la punta delle scarpe, poi con le caviglie e infine con le ginocchia, con il petto, con la gola. L'acqua non è fredda. Non sarebbe difficile farsi inghiottire da quel turbinio di correnti odorose di foglie marce.
Ma la voglia di riprendere il cammino è più forte. Marianna ferma lo sguardo sulle acque giallognole, gorgoglianti e interroga i suoi silenzi. Ma la risposta che ne riceve è ancora una domanda. Ed è muta.
______________________________________________________________
La rivelazione al lettore della causa del trauma Il romanzo La lunga vita di Marianna Ucrìa è narrato in terza persona da una voce esterna, che però conosce tutti i pensieri di Marianna e racconta la storia quasi sempre dal suo punto di vista e attraverso i suoi ricordi. Nell’episodio qui riportato, in cui viene svelato il trauma originario che Marianna non ricorda, il narratore cambia bruscamente la focalizzazione e rivela i pensieri del fratello abate, che ricorda, e rievoca così il terribile episodio della violenza dello zio Pietro.
............."ma è vero, parlava quando aveva quattro, forse cinque anni... lo ricorda benissimo e ricorda quel sussurrare in famiglia, quel serrarsi di bocche atterrite... ma perché? cosa cavolo stava succedendo in quei labirinti di via Alloro? una sera si erano sentiti dei gridi da accapponare la pelle e Marianna [...] era stata portata via, sì trascinata dal padre e da Raffaele Cuffa, strana l’assenza delle donne... il fatto è che sì, ora lo ricorda, lo zio Pietro, quel capraro maledetto, l’aveva assalita e lasciata mezza morta... sì lo zio Pietro, ora è chiarissimo, come aveva potuto dimenticarlo? per amore diceva lui per amore sacrosanto che lui l’adorava quella bambina e se n’era ‘nisciutu pazzu’ ... com’è che aveva perduto la memoria della tragedia? E dopo, sì dopo, quando Marianna era guarita, si era visto che non parlava più, come se, zac, le avessero tagliato la lingua... il signor padre con le sue ubbie, il suo amore esasperato per quella figlia... cercando di fare meglio ha fatto peggio... una bambina al patibolo, come poteva venirgli in mente una simile baggianata!... per regalarla poi a tredici anni a quello stesso zio che l’aveva violata quando ne aveva cinque uno ‘scimunitazzu’ il signor padre Signoretto..."
_________________________________________________________________
UN FINALE APERTO
E’ disdicevole come per una signora girare da una locanda all’altra, da una città all’altra senza pace, senza rimedio” direbbe il signor figlio Mariano e avrebbe forse ragione.Quel correre, quel vagare, quel patire ogni fermata, ogni attesa, non sarà un avvertimento di fine? Entrare nell’acqua del fiume prima con la punta delle scarpe, poi con le caviglie e infine con le ginocchia, con il petto , con la gola. L’acqua non è fredda. Non sarebbe difficile farsi inghiottire da quel turbinio di correnti odorose di foglie marce.Ma la voglia di riprendere il cammino è più forte. Marianna ferma lo sguardo sulle acque giallognole, gorgoglianti e interroga i suoi silenzi. Ma la risposta che ne riceve è ancora una domanda. Ed è muta.
Le frequentazioni di Dacia Maraini – la Neoavanguardia e, soprattutto, la scrittura di Alberto Moravia e il femminismo militante – trovano eco nella sua produzione, che si caratterizza per un realismo piuttosto crudo ma attento alla problematica interiore dei personaggi femminili, negli aspetti più profondamente esistenziali e intimi: la sessualità, la maternità, la famiglia. La scrittrice esprime una visione del mondo non classista o sessista, ma volta alla denuncia dell’emarginazione, alla protezione dei più deboli, alla difesa delle vittime della ferocia dell’essere umano, bambini e donne in primo luogo
Brano tratto dal romanzo "La lunga vita di Marianna Ucrìa" (1990) di Dacia Maraini
[...]
Fuori è buio. Il silenzio avvolge Marianna sterile e assoluto. Fra le sue mani un libro d'amore. Le parole, dice lo scrittore, vengono raccolte dagli occhi come grappoli di una vigna sospesa, vengono spremuti dal pensiero che gira come una ruota di mulino e poi, in forma liquida si spargono e scorrono felici per le vene. E questa la divina vendemmia della letteratura?
Trepidare con i personaggi che corrono fra le pagine, bere il succo del pensiero altrui, provare l'ebbrezza rimandata di un piacere che appartiene ad altri. Esaltare i propri sensi attraverso lo spettacolo sempre ripetuto dell'amore in rappresentazione, non è amore anche questo? Che importanza ha che questo amore non sia mai stato vissuto faccia a faccia direttamente? assistere agli abbracci di corpi estranei, ma quanto vicini e noti per via di lettura, non è come viverlo quell'abbraccio, con un privilegio in più, di rimanere padroni di sé?
Un sospetto le attraversa la mente: che il suo sia solo uno spiare i respiri degli altri. Così come cerca di interpretare sulle labbra di chi le sta accanto il ritmo delle frasi, rincorre su queste pagine il farsi e il disfarsi degli amori altrui. Non è una caricatura un po' penosa?
Quante ore ha trascorso in quella biblioteca, imparando a cavare l'oro dalle pietre, setacciando e pulendo per giorni e giorni, gli occhi a mollo nelle acque torbide della letteratura.Che ne ha ricavato? qualche granello di ruvido bitorzoluto sapere. Da un libro all'altro, da una pagina all'altra. Centinaia di storie d'amore, di allegria, di disperazione, di morte,di godimenti, di assassinii, di incontri, di addii. E lei sempre lì seduta su quella poltrona dal centrino ricamato e consunto dietro la testa.
La parte bassa degli scaffali, quelli raggiungibili da mani infantili contengono soprattutto vite di santi: La sequenza di santa Eulalia, La vita di san Leodegario, qualche libro in francese Le jeu de saint Nicolas, il Cymbalum mundi, qualche libro in spagnolo come il Rimado de palacio o il Lazarillo de Tormes. Una montagna di almanacchi: della Luna nuova, degli Amori sotto Marte, del Raccolto, dei Venti; nonché storie di paladini di Francia e alcuni romanzi per signorine che parlano d'amore con ipocrita licenza.
Più sopra, negli scaffali ad altezza d'uomo si possono trovare i classici: dalla Vita nuova all'Orlando furioso, dal De rerum natura ai Dialoghi di Platone nonché qualche romanzo alla moda come il Colloandro fedele e La leggenda delle vergini. Questi erano i libri della biblioteca di villa Ucrìa quando l'ha ereditata Marianna. Ma da quando la frequenta assiduamente i libri sono raddoppiati. Da principio la scusa era lo studio dell'inglese e del francese. E quindi vocabolari, grammatiche, compendii. Poi, qualche libro di viaggi con disegni di mondi lontani e infine, con sempre più ardimento,romanzi moderni, libri di storia, di filosofia.
Da quando i figli sono andati via ha molto più tempo a disposizione. E i libri non le bastano mai. Li ordina a dozzine ma spesso ci mettono dei mesi per arrivare. Come il pacchetto che conteneva il Paradise Lost che è rimasto cinque mesi al porto di Palermo senza che nessuno sapesse dove fosse andato a finire. Oppure la Histoire comique de Francion che è andato perso nel tragitto fra Napoli e la Sicilia in un battello che è affondato al largo di Capri.
Altri li ha prestati e non ricorda più a chi; come i Lais di Maria di Francia che non sono più tornati indietro. O il Romance de Brut che deve essere nelle mani di suo fratello Carloal convento di San Martino delle Scale.
Queste letture che si protraggono fino a notte fonda sono prostranti ma anche dense di piaceri. Marianna non riesce mai a decidersi ad andare a letto. E se non fosse per la sete che quasi sempre la strappa alla lettura continuerebbe fino a giorno.
Uscire da un libro è come uscire dal meglio di sé. Passare dagli archi soffici e ariosi della mente alle goffaggini di un corpo accattone sempre in cerca di qualcosa è comunque una resa. Lasciare persone note e care per ritrovare una se stessa che non ama, chiusa in una contabilità ridicola di giornate che si sommano a giornate come fossero indistinguibili. La sete ha messo il suo zampino in quella quiete sensuale togliendo profumo ai fiori, ispessendo le ombre. Il silenzio di questa notte è soffocante.
Trepidare con i personaggi che corrono fra le pagine, bere il succo del pensiero altrui, provare l'ebbrezza rimandata di un piacere che appartiene ad altri. Esaltare i propri sensi attraverso lo spettacolo sempre ripetuto dell'amore in rappresentazione, non è amore anche questo? Che importanza ha che questo amore non sia mai stato vissuto faccia a faccia direttamente? assistere agli abbracci di corpi estranei, ma quanto vicini e noti per via di lettura, non è come viverlo quell'abbraccio, con un privilegio in più, di rimanere padroni di sé?
Un sospetto le attraversa la mente: che il suo sia solo uno spiare i respiri degli altri. Così come cerca di interpretare sulle labbra di chi le sta accanto il ritmo delle frasi, rincorre su queste pagine il farsi e il disfarsi degli amori altrui. Non è una caricatura un po' penosa?
Quante ore ha trascorso in quella biblioteca, imparando a cavare l'oro dalle pietre, setacciando e pulendo per giorni e giorni, gli occhi a mollo nelle acque torbide della letteratura.Che ne ha ricavato? qualche granello di ruvido bitorzoluto sapere. Da un libro all'altro, da una pagina all'altra. Centinaia di storie d'amore, di allegria, di disperazione, di morte,di godimenti, di assassinii, di incontri, di addii. E lei sempre lì seduta su quella poltrona dal centrino ricamato e consunto dietro la testa.
La parte bassa degli scaffali, quelli raggiungibili da mani infantili contengono soprattutto vite di santi: La sequenza di santa Eulalia, La vita di san Leodegario, qualche libro in francese Le jeu de saint Nicolas, il Cymbalum mundi, qualche libro in spagnolo come il Rimado de palacio o il Lazarillo de Tormes. Una montagna di almanacchi: della Luna nuova, degli Amori sotto Marte, del Raccolto, dei Venti; nonché storie di paladini di Francia e alcuni romanzi per signorine che parlano d'amore con ipocrita licenza.
Più sopra, negli scaffali ad altezza d'uomo si possono trovare i classici: dalla Vita nuova all'Orlando furioso, dal De rerum natura ai Dialoghi di Platone nonché qualche romanzo alla moda come il Colloandro fedele e La leggenda delle vergini. Questi erano i libri della biblioteca di villa Ucrìa quando l'ha ereditata Marianna. Ma da quando la frequenta assiduamente i libri sono raddoppiati. Da principio la scusa era lo studio dell'inglese e del francese. E quindi vocabolari, grammatiche, compendii. Poi, qualche libro di viaggi con disegni di mondi lontani e infine, con sempre più ardimento,romanzi moderni, libri di storia, di filosofia.
Da quando i figli sono andati via ha molto più tempo a disposizione. E i libri non le bastano mai. Li ordina a dozzine ma spesso ci mettono dei mesi per arrivare. Come il pacchetto che conteneva il Paradise Lost che è rimasto cinque mesi al porto di Palermo senza che nessuno sapesse dove fosse andato a finire. Oppure la Histoire comique de Francion che è andato perso nel tragitto fra Napoli e la Sicilia in un battello che è affondato al largo di Capri.
Altri li ha prestati e non ricorda più a chi; come i Lais di Maria di Francia che non sono più tornati indietro. O il Romance de Brut che deve essere nelle mani di suo fratello Carloal convento di San Martino delle Scale.
Queste letture che si protraggono fino a notte fonda sono prostranti ma anche dense di piaceri. Marianna non riesce mai a decidersi ad andare a letto. E se non fosse per la sete che quasi sempre la strappa alla lettura continuerebbe fino a giorno.
Uscire da un libro è come uscire dal meglio di sé. Passare dagli archi soffici e ariosi della mente alle goffaggini di un corpo accattone sempre in cerca di qualcosa è comunque una resa. Lasciare persone note e care per ritrovare una se stessa che non ama, chiusa in una contabilità ridicola di giornate che si sommano a giornate come fossero indistinguibili. La sete ha messo il suo zampino in quella quiete sensuale togliendo profumo ai fiori, ispessendo le ombre. Il silenzio di questa notte è soffocante.
Tornata alla biblioteca, alle candele consumate, Marianna si chiede perché queste notti le stanno diventando strette. E perché ogni cosa tenda a precipitare verso l'interno della sua testa come dentro un pozzo dalle acque scure in cui ogni tanto echeggia un tonfo, una caduta,ma di che?
I piedi scivolano delicati e silenziosi sui tappeti che coprono il corridoio; raggiungono la sala da pranzo, attraversano il salone giallo, quello rosa; si fermano sulla soglia della cucina. La tenda nera che nasconde il grande orcio dove si conserva l'acqua da bere è scostata. Qualcuno è sceso a bere prima di lei. Per un momento è presa dal panico di un incontro notturno col signor marito zio. Da quella notte del rifiuto non l'ha più cercata. Le sembra di avere intuito che amoreggi con la moglie di Cuffa. Non la vecchia Severina che è morta ormai da un po', ma la nuova moglie, una certa Rosalia dalla folta treccia nera che le ciondola sulla schiena.
Ha una trentina d'anni, è di temperamento energico, ma col padrone sa essere dolce e lui ha bisogno di qualcuno che accolga i suoi assalti senza raggelarsi. Marianna ripensa ai loro frettolosi accoppiamenti al buio, lui armato e implacabile e lei lontana, impietrita. Dovevano essere buffi a vedersi, stupidi come possono esserlo coloro che ripetono senza un barlume di discernimento un dovere che non capiscono e per cui non sono tagliati. Eppure hanno fatto cinque figli vivi e tre morti prima di nascere che fanno otto; otto volte si sono incontrati sotto le lenzuola senza baciarsi né carezzarsi. Un assalto, una forzatura, un premere di ginocchia fredde contro le gambe, una esplosione rapida e rabbiosa.
Qualche volta chiudendo gli occhi al suo dovere si è di era distratta pensando agli accoppiamenti di Zeus e di Io, di Zeus e di Leda come sono descritti da Pausania o da Plutarco. Il corpo divino sceglie un simulacro terreno: una volpe, un cigno un’aquila, un toro. E poi, dopo lunghi appostamenti fra i sugheri e le querce, l'improvvisa apparizione. Non c'è il tempo di dire una parola. L'animale curva i suoi artigli, in chioda col becco la nuca della donna, e la ruba a se stessa e al suo piacere. Un battere di ali, un fiato ansante sul collo, il taglio dei denti su una spalla ed è finito. L'amante se ne va lasciandoti dolorante e umiliata.
I piedi scivolano delicati e silenziosi sui tappeti che coprono il corridoio; raggiungono la sala da pranzo, attraversano il salone giallo, quello rosa; si fermano sulla soglia della cucina. La tenda nera che nasconde il grande orcio dove si conserva l'acqua da bere è scostata. Qualcuno è sceso a bere prima di lei. Per un momento è presa dal panico di un incontro notturno col signor marito zio. Da quella notte del rifiuto non l'ha più cercata. Le sembra di avere intuito che amoreggi con la moglie di Cuffa. Non la vecchia Severina che è morta ormai da un po', ma la nuova moglie, una certa Rosalia dalla folta treccia nera che le ciondola sulla schiena.
Ha una trentina d'anni, è di temperamento energico, ma col padrone sa essere dolce e lui ha bisogno di qualcuno che accolga i suoi assalti senza raggelarsi. Marianna ripensa ai loro frettolosi accoppiamenti al buio, lui armato e implacabile e lei lontana, impietrita. Dovevano essere buffi a vedersi, stupidi come possono esserlo coloro che ripetono senza un barlume di discernimento un dovere che non capiscono e per cui non sono tagliati. Eppure hanno fatto cinque figli vivi e tre morti prima di nascere che fanno otto; otto volte si sono incontrati sotto le lenzuola senza baciarsi né carezzarsi. Un assalto, una forzatura, un premere di ginocchia fredde contro le gambe, una esplosione rapida e rabbiosa.
Qualche volta chiudendo gli occhi al suo dovere si è di era distratta pensando agli accoppiamenti di Zeus e di Io, di Zeus e di Leda come sono descritti da Pausania o da Plutarco. Il corpo divino sceglie un simulacro terreno: una volpe, un cigno un’aquila, un toro. E poi, dopo lunghi appostamenti fra i sugheri e le querce, l'improvvisa apparizione. Non c'è il tempo di dire una parola. L'animale curva i suoi artigli, in chioda col becco la nuca della donna, e la ruba a se stessa e al suo piacere. Un battere di ali, un fiato ansante sul collo, il taglio dei denti su una spalla ed è finito. L'amante se ne va lasciandoti dolorante e umiliata.
Leggi qui sotto il saggio di Melania Mazzucco sulla storia delle donne:
"Scrivere la vita di una donna - per ricordare un fortunato titolo di Carolyn Heilbrun - è un esercizio di storia, memoria, letteratura e in qualche modo politica. Dagli anni Settanta, studiose e scrittrici, studiosi e scrittori americani ed europei hanno avviato una monumentale impresa collettiva: ri-scrivere le vite delle donne del passato. Ritrovarne i nomi sepolti, le storie perdute, le opere e le azioni. Con lo scopo dichiarato di restituire loro il posto che meritavano negli eventi del loro tempo e nella storia della cultura. E con lo scopo pedagogico, in qualche modo sottinteso, di fornire esempi e modelli alle donne del presente, creando un pantheon alternativo a quello tradizionale e nuove icone. Il fenomeno non accenna a declinare. Una delle più influenti intellettuali europee, la semiologa Julia Kristeva, ha affrontato fra il 1999 e il 2002 una complessa riflessione sul genio femminile, componendo una trilogia su Hannah Arendt, Melanie Klein, Colette: nelle due sradicate nomadi dal pensiero abrasivo e nella scrittrice edonista e sensuale ha individuato un esemplare percorso di costruzione della singolarità. Sottotitolate rispettivamente La vita, La follia, Le parole, le tre anomale biografie della Kristeva (tradotte da Donzelli), rappresentano una sfida per chiunque voglia interrogarsi sull'intellettualità femminile al di fuori di schemi prestabiliti o facili narrazioni.
Ma non meno fertile è un genere di biografia apparentemente più leggero: la donna ordinaria capace però di imprese eccezionali, di conquistare l' ammirazione dei contemporanei, per poi scomparire nell'oblio. Un esempio ne è il godibile Il giro del mondo in bicicletta di Peter Zheutlin (Elliot), dedicato ad Annie "Londonderry" Kopchovski, ebrea lituana emigrata negli Usa che, per dimostrare di cosa fosse capace una donna, a 23 anni inforcò una bicicletta e pedalò da Boston a Parigi, Gerusalemme e Singapore, tra calunnie e disavventure di ogni tipo, ma smascherando i pregiudizi misogini e trionfando alla fine, per proporsi come un esempio vincente della "nuova donna" del futuro.
Talvolta il fenomeno esonda dalle trincee dell'accademia e dell'università per incontrare un vasto successo popolare. È capitato a Ipazia, filosofa e scienziata dell'antichità, che è stata "scoperta" grazie a film, saggi e spettacoli teatrali che le hanno dato una storia. Tra i libri più letti negli Usa c'è oggi Cleopatra: a life, corposa biografia di Stacy Schiff (Little Brown, in uscita per Mondadori). L'autrice aveva vinto il premio Pulitzer con Vera (Fandango), biografia della moglie di Nabokov, donna schiva che attraversò il '900 cercando di far perdere le proprie tracce: una figura antitetica a quella della regina, simbolo di seduzione e potere, resa mitica dal cinema hollywoodiano. Ma a entrambe Schiff ha dedicato un'analoga opera di ricostruzione del personaggio al di là della mistificazione - mai innocente - della memoria, restituendo a Vera l'identità cancellata dalla scelta di vivere all'ombra di un genio e a Cleopatra la personalità affascinante di una donna colta, poliglotta, astuta, politicamente abile, travisata e banalizzata dai vincitori che ne scrissero per primi la vita. Una delle ragioni della fortuna del volume può forse essere rintracciata nell'affermazione della Schiff: "Cleopatra è un modello per le donne indipendenti". Ma è davvero per questo che leggiamo le vite delle altre? Per cercare conferme delle nostre capacità, o possibilità nel mondo? Oppure quelle biografie svolgono, al contrario, una funzione quasi evasiva, consentendo alle lettrici di proiettare sulle esistenze eccentriche, eccessive, liberate di donne straordinarie le frustrazioni e le disillusioni di una condizione ancora insoddisfacente? Forse è legittimo chiederselo, ma non in Italia, dove le biografie di donne straordinarie del mondo classico, o ordinarie del passato prossimo, restano una lettura elitaria. Da noi prevale il filone, che definirei civile, della riscoperta di figure di donne dimenticate o rimosse della storia nazionale. A questo si possono ricondurre volumi di diversa natura o ambizione, come Mai sono stata tranquilla. Vita di Angelica Balabanoff di Amedeo La Mattina (Einaudi), sulla minuscola, controversa e maledetta signora del socialismo europeo, che tanto contribuì all'ascesa di Mussolini, o il collettivo Donne del Risorgimento (Il Mulino), nel quale per il 150° anniversario dell'Unità il battagliero gruppo di scrittrici e giornaliste di Controparola propone una galleria di ritratti delle protagoniste occultate dell'epopea dell'indipendenza - da Cristina di Belgiojoso a Sarah Levi Nathan. Fra i medaglioni, spiccano quello di Enrichetta di Lorenzo di Dacia Maraini e della garibaldina Antonia Masanello di Serena Tagliaventi. Eroine delle barricate, regine dei salotti, banchiere, infermiere o rivoluzionarie, le donne al centro di queste narrazioni sono apparentate dal silenzio - talvolta censorio - che le ha relegate ai margini della memoria collettiva o fuori di essa. In un paese come l'Italia questi libri hanno qualcosa di necessario. Facendo emergere una trama di esistenze tanto più sommerse quanto più furono pubbliche, essi indicano che da noi il silenzio non è stato infranto e la memoria resta frammentaria. Ma finché non avremo ritrovato le tracce e i nomi di quante, con le loro vite ordinarie o straordinarie, tumultuose o segrete, possono delineare una genealogia nuova, la mappa dell'Italia sarà incompleta: qui le vite delle altre servono anche, e forse soprattutto, a far emergere le nostre." (da Melania Mazzucco, Raccontate, donne, la vostra vita o la storia vi dimenticherà, "La Repubblica", 30/04/'11)
Nessun commento:
Posta un commento