martedì 19 settembre 2023

Niccolò Machiavelli: Il Principe




MACHIAVELLI E IL SUO TEMPO AL LINK della mostra che si tenne nel 2013


Biografia dell'autore 
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Nel sito dell'editore Laterza, SCEGLIERE IL PRINCIPE di Maurizio Viroli elenca una serie di regole che rendono il pensiero di Machiavelli "contemporaneo"
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G. Marramao, Oui, je suis Machiavelli 
   La folgorante attualità del pensiero machiavelliano sul potere, «riscoperta» dai francesi" (2001)
"L'opera del segretario fiorentino viene assunta come modello o prototipo di una considerazione attua­le intorno ai fenomeni della politica e del potere. Figura inaugurale della modernità, la sua opera pone questioni che si proiettano oltre il mainstream della mo­dernità politica rappresentato dalla figu­ra del Leviatano di Hobbes, di uno Stato inteso come complesso «macchinale» di regole e procedure.  La «scena influente» della riflessione machiavelliana è vicever­sa costituita dal kairós.- il nome greco dell'«occasione».  Il tempo della politica è il tempo della chance, della decisione «tempestiva».  La questione del potere - questa la «terribile» proposizione che Machiavelli per primo enuncia nella storia del pensiero occidentale - coincide con la questione della «presa» del potere: una presa che precede (da un punto di vista logico, non solo cronologico) il problema della sua legittimazione e «giustificazione». Due motivi sono essenziali per afferrare la portata innovativo della concezione di Machiavelli rispetto all'intera tradizione che lo precede.  In primo luogo, la demistificazione del concetto di potere.  Egli riprende qui - certo - e radicalizza la secolarizzazione dell'autorità operata prima di lui da autori come Dante (e, a tale riguardo molto giustamente Jacqueline  Risset ha sottolineato l'importanza del De Monarchia) e Marsilio da Pado­va.  Ma la rottura investe adesso il nu­cleo essenziale della filosofia politica oc­cidentale: la subordinazione aristotelica della politica all'etica.  Il codice della poli­tica e quello della morale si dissociano nettamente., non tanto - come vuole un antico pregiudizio ancora circolante ­nel senso di una «machiavellica» indiffe­renza dei mezzi al fine, quanto piuttosto come esigenza di autonomia del criterio del «politico» rispetto alla dimensione etica.
Nel IX capitolo del Principe, Machiavelli individua nel popolo un fat­tore non di precarietà e di disordine bensì di stabilita e di durata di un ordi­namento politico.
Sarà opportuno non per­dere di vista la doppia natura della politi­ca, simboleggiata in Machiavelli dalla fi­gura del Centauro.  La politica non è solo ragione ma anche passione.  Non solo strategia ma anche emozione.  Non solo progetto ma anche condivisione.  Non solo interessi ma anche identità.  All'ombra del Centauro, riesce ben diffi­cile giudicare gli eventi della politica, dai più remoti fino alle ultime elezioni, con lo schema oppositivo razionale-irrazionale."
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  • Il fine giustifica i mezzi.
    • Questa citazione è universalmente attribuita a Niccolò Machiavelli, ma NON è presente in alcuno suo scritto. La frase più simile presente nelle sue opere è Nelle azioni di tutti li uomini, e massime de' principi, dove non è iudizio da reclamare, si guarda al fine. (Il Principe, XVIII). Questa frase, inoltre, non rispecchia lo spirito delle sue opere, in quanto sottintenderebbe una valutazione morale che l'autore non cercò mai. Probabilmente venne utilizzata nei trattati della Controriforma (fine XVI secolo) per giustificare la messa all'indice delle opere di Machiavelli.
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    Gian Mario Anselmi sul valore della gioventù in  Machiavelli (DA griseldaonline): "...Vediamo l'originalità e la forza dello scarto operato da Machiavelli: e in particolare se stiamo alla partitura essenziale del Principe. Qui, al settimo capitolo, troviamo il memorabile ritratto del Duca Valentino, consegnato da Machiavelli ai posteri come mito di “eroe moderno”: ed è un eroe giovane, che trae proprio dalla forza e dalla ferocia audace della sua giovinezza la sagacia della sua risoluta e rivoluzionaria azione politica e militare. Ciò che nella trattatistica corrente e nella legislazione era bollato come limite e pericolo della giovinezza è da Machiavelli pienamente invece recuperato come fonte necessaria dell’agire politico. La mescolanza di sagacia e ferinità, di astuzia e di vitalismo impasta l’eroe vincente sul piano militare non meno che su quello politico.
    L’approdo al capitolo del Principe più inquietante per un verso e per l’altro decisivo nel costituirsi di certo pensiero politico moderno, ovvero il diciottesimo ( ben presente, e non per nulla, a Nietzsche), è perciò intrinsecamente connesso a questo filo di riflessione. Se infatti la ferocia ferina propria della giovinezza è motore essenziale del successo politico proprio quel ferino vitalismo va analizzato fino in fondo e senza remore: di qui le memorabili metafore del Centauro, della volpe e del leone che, giocando sullo spartito multiplo della tradizione favolistica, di Dante e soprattutto di Ovidio, mostrano al lettore per la prima volta anche rispetto alla stessa tradizione classica l’abisso ineludibile di animalità da cui l’uomo attinge forze talora distruttive ma, perlopiù, se ben condotte e portate alla luce, decisive per definire l’azione vincente di chi governa.
    Si giunge così infine al capitolo “manifesto” sul ruolo decisivo della giovinezza e proprio a partire da quelle connotazioni che alla morale umanistica e cristiana corrente sembravano da condannare: nel celebre capitolo venticinquesimo la Fortuna – donna è sconfitta dall’eroe – giovane. Si badi, e non è mai stato notato, che la celebre metafora della “Fortuna – donna” va anch’essa ascritta all’area della valutazione positiva della giovinezza. Per esaltare la forza, l’imprevedibilità e la difficoltà ad arginare la potenza della Fortuna ( per dipingere la quale Machiavelli si giova anche della già celebre metafora del fiume in piena, cara a Petrarca come all’Alberti) Machiavelli fa ricorso all’immagine della donna giovane e ferina ( si è già detto di ciò) cui solo può appunto contrapporsi, in uno sforzo straordinario, il maschio giovane e altrettanto, anzi di più , audace e ferino e vitale. La patina di eclatante e scontato misoginismo che caratterizza questa pagina ha fatto velo finora agli studiosi, impedendo loro di cogliere il ben più potente tracciato semantico che rende memorabile letterariamente e cruciale politicamente e filosoficamente questo capitolo: la contesa è tra due forme di giovinezza, di cui la femminile è tutt’altro che debole e passiva, anzi domabile solo da pochi e grandi eroi.
    Metafore e metamorfosi che, insomma, legano la rivoluzionaria riflessione del Principe, fino alla fine e lungo tutto il suo dispiegarsi, a una forza che è dei giovani, che è sì militare e bellica ma che, ben conosciuta e interconnessa con la ratio politica, può trasformarsi da distruttiva in positiva (il capitolo finale del Principe ), da feroce e insensata a impeto e nerbo dell’azione del “savio datore di leggi” come del condottiero e del soldato. Un vitalismo naturalistico positivo, possente e travolgente caratterizza la riflessione di Machiavelli: esso è tutt’altro che irrilevante, come si diceva, anche per la ripresa attuale del dibattito filosofico su etica e biopolitica.
    La figura dell’eroe – principe giovane, l’idea della forza della giovinezza come vita al suo massimo potenziale di credibilità politica e “normativa” corrono parallele a quell’etica laica e mondana di ascendenza romana cui Machiavelli lega in realtà la sua riflessione e che così bene seppe illustrare Isaiah Berlin in un saggio memorabile: I. BERLIN , L’originalità di Machiavelli, in Controcorrente, Milano, Adelphi, 2000, pp.39 - 117.

    (L'intero saggio   QUI Machiavelli e la forza della giovinezza)
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Isaiah Berlin ama ricordare un verso dell’antico poeta Archiloco:

 “la volpe sa molte cose, ma il riccio ne sa una grande”. 

Gli studiosi hanno sempre letto questo verso in maniera banale: la volpe, pur essendo infinitamente più astuta, viene sconfitta dall’unica difesa di cui il riccio dispone. In opposizione a questa lettura scontata, Berlin ne propone un’altra, più profonda: l’immagine del riccio e della volpe può essere assunta come metafora delle più profonde differenze che distinguono gli individui; di questi, infatti, alcuni (i “ricci”) riferiscono ogni cosa a una visione centrale, a un sistema coerente e articolato, dotato di regole ben precise; altri (le “volpi”), invece, perseguono molti fini, non di rado disgiunti e contraddittori, mancanti di un principio morale o estetico. Questa seconda tipologia di individui – dice Berlin – compie azioni “centrifughe”, non “centripete”, poiché il loro pensiero di muove su parecchi piani e coglie una varietà di esperienze e di temi senza riportarli a una visione immutabile. Grandi artisti che hanno agito da “ricci” sono – così dice Berlin in Il riccio e la volpe – Dante, Platone, Lucrezio, Pascal, Hegel, Dostoevskij, Nietzsche, Ibsen, Proust; simili alle volpi, invece, sono stati Shakespeare, Erodoto, Aristotele, Erasmo, Molière, Goethe, Puskin, Balzac, Joyce, Montaigne.

 

In un saggio pubblicato dalla “New York Review of Books” Isaiah Berlin rilegge le idee politiche del pensatore fiorentino


La principale conquista di Machiavelli è stata la sua scoperta di un insolubile dilemma che pone un punto interrogativo permanente sul sentiero della posterità.

Ciò deriva dal suo riconoscimento di come scopi altrettanto elevati, altrettanto sacri, possano reciprocamente contraddirsi, di come interi sistemi valoriali possano entrare in conflitto senza che vi sia alcuna razionale possibilità di mediazione fra essi, e di come in ultima analisi tutto questo faccia integralmente parte, non solo in circostanze eccezionali – per quanto insolite, accidentali o erronee ne siano le premesse, come nel caso dello scontro fra Antigone e Creonte, o nella storia di Tristano – di quella che è la normale condizione dell’uomo. E sicuramente questa è la novità che ha introdotto.

Per coloro che interpretassero simili conflitti come situazioni rare, eccezionali o disastrose, la scelta che ci si trova a compiere risulterà necessariamente un’esperienza dolorosa di fronte alla quale un essere razionale non potrà mai (in assenza di regole) trovarsi preparato. 

Per Machiavelli invece – quanto meno ne Il Principe, nei Discorsi e ne La Mandragola – non esiste agonia.

Si sceglie ciò che si sceglie perché si sa ciò che si vuole, e si è pronti a pagarne il prezzo. Si sceglie la civiltà classica piuttosto che il deserto tebano, Roma piuttosto che Gerusalemme, per quanto possano dirne i preti, perché tale è la propria natura e – non essendo né un esistenzialista né un individualista romantico ante litteram – perché è anche quella degli uomini in generale, in qualsiasi tempo  – perché è anche quella degli uomini in generale, in qualsiasi tempo e in ogni luogo.

Di fronte a coloro che prediligono la solitudine o il martirio, lui fa spallucce. Quelli non sono uomini che fanno per lui. E con loro non ha nulla da spartire, e niente di cui discutere. Tutto ciò che gli importa – a lui e a coloro che la pensano come lui – è che si impedisca a tali uomini di intromettersi nella politica o nell’istruzione, o in qualunque aspetto portante della vita umana; il loro punto di vista li rende inadatti a compiti di tale natura.

Non intendo dire che Machiavelli sostenga esplicitamente l’esistenza di un pluralismo, o perfino di un dualismo di valori fra i quali debba essere consciamente fatta una scelta. Ma ciò consegue dai confronti che istituisce fra i comportamenti che ammira e quelli che condanna. Sembra dare per scontata l’ovvia superiorità della virtù civica classica, liquidando i valori cristiani così come la morale convenzionale, con al massimo un paio di frasi sprezzanti, con una certa condiscendenza, o con poche accorte parole sui malintesi della Cristianità.

Cosa che preoccupa o fa infuriare ancor di più quelli che dissentono da lui, per il semplice fatto che è in grado di muoversi in direzione opposta alla loro senza apparirne consapevole – prescrivendo comportamenti perfidi come se fossero in tutta ovvietà i più assennati, ossia consigli che solo i pazzi e i visionari potrebbero rifiutare.

Se ciò di cui era convinto Machiavelli fosse vero, questo minerebbe alle fondamenta una delle principali convinzioni del pensiero occidentale: e cioè che da qualche parte nel passato o nel futuro, in questo mondo o nel prossimo, in chiesa o in laboratorio, fra le elucubrazioni di un metafisico, o le scoperte di uno scienziato sociale, o nel cuore non corrotto di un uomo buono e semplice, sia possibile trovare la risposta definitiva al quesito su come gli uomini debbano vivere.

Se ciò è falso (e laddove più di una risposta altrettanto valida alla domanda potrà essere data, allora sarà falso) l’idea di un unico vero, oggettivo ideale umano universale frana. La sua stessa ricerca diventa non solo utopica in pratica, ma concettualmente incoerente…

Da Machiavelli in poi, il dubbio è in grado di infettare qualsiasi costruzione monistica. Quel senso di certezza che esista da qualche parte un tesoro nascosto –la soluzione finale ai nostri mali –e che qualche sentiero debba necessariamente condurre ad esso (perché in linea di principio dovrà essere localizzabile); o altrimenti, per cambiare metafora, quella convinzione secondo la quale i frammenti delle nostre credenze e abitudini siano in realtà tutti pezzi di un grande mosaico-puzzle che possa (perché se ne ha garanzia a priori) in linea di principio esser completato; tanto che può essere solo colpa d’imperizia, stupidità o sfortuna se non siamo ancora riusciti a scoprire quella soluzione grazie alla quale tutti i nostri reciproci interessi verranno armonicamente a coesistere – questa fondamentale credenza del pensiero politico occidentale è stata fortemente scossa.


*estratto di ”The Question of Machiavelli”, New York Review of Booksnovembre 4, 1971 (traduzione di Stefano Pitrelli)


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FORTUNA O VORTUMNA (colei che fa volgere l'anno)







Dante, Purgatorio, VI canto, versi 76-151: 

Ahi serva Italia, di dolore ostello,

nave sanza nocchiere in gran tempesta,
non donna di province, ma bordello!
      Quell'anima gentil fu così presta,
sol per lo dolce suon de la sua terra,
di fare al cittadin suo quivi festa;
      e ora in te non stanno sanza guerra
li vivi tuoi, e l'un l'altro si rode
di quei ch'un muro e una fossa serra.
      Cerca, misera, intorno da le prode
le tue marine, e poi ti guarda in seno,
s'alcuna parte in te di pace gode.
      Che val perché ti racconciasse il freno
Iustiniano, se la sella è vota?
Sanz'esso fora la vergogna meno.
      Ahi gente che dovresti esser devota,
e lasciar seder Cesare in la sella,
se bene intendi ciò che Dio ti nota,
      guarda come esta fiera è fatta fella
per non esser corretta da li sproni,
poi che ponesti mano a la predella.
      O Alberto tedesco ch'abbandoni
costei ch'è fatta indomita e selvaggia,
e dovresti inforcar li suoi arcioni,
      giusto giudicio da le stelle caggia
sovra 'l tuo sangue, e sia novo e aperto,
tal che 'l tuo successor temenza n'aggia!
      Ch'avete tu e 'l tuo padre sofferto,
per cupidigia di costà distretti,
che 'l giardin de lo 'mperio sia diserto.
      Vieni a veder Montecchi e Cappelletti,
Monaldi e Filippeschi, uom sanza cura:
color già tristi, e questi con sospetti!
      Vien, crudel, vieni, e vedi la pressura
d'i tuoi gentili, e cura lor magagne;
e vedrai Santafior com'è oscura!
      Vieni a veder la tua Roma che piagne
vedova e sola, e dì e notte chiama:
«Cesare mio, perché non m'accompagne?».
      Vieni a veder la gente quanto s'ama!
e se nulla di noi pietà ti move,
a vergognar ti vien de la tua fama.
      E se licito m'è, o sommo Giove
che fosti in terra per noi crucifisso,
son li giusti occhi tuoi rivolti altrove?
      O è preparazion che ne l'abisso
del tuo consiglio fai per alcun bene
in tutto de l'accorger nostro scisso?
      Ché le città d'Italia tutte piene
son di tiranni, e un Marcel diventa
ogne villan che parteggiando viene.
      Fiorenza mia, ben puoi esser contenta
di questa digression che non ti tocca,
mercé del popol tuo che si argomenta.
      Molti han giustizia in cuore, e tardi scocca
per non venir sanza consiglio a l'arco;
ma il popol tuo l'ha in sommo de la bocca.
      Molti rifiutan lo comune incarco;
ma il popol tuo solicito risponde
sanza chiamare, e grida: «I' mi sobbarco!».
      Or ti fa lieta, ché tu hai ben onde:
tu ricca, tu con pace, e tu con senno!
S'io dico 'l ver, l'effetto nol nasconde.
      Atene e Lacedemona, che fenno
l'antiche leggi e furon sì civili,
fecero al viver bene un picciol cenno
      verso di te, che fai tanto sottili
provedimenti, ch'a mezzo novembre
non giugne quel che tu d'ottobre fili.
      Quante volte, del tempo che rimembre,
legge, moneta, officio e costume
hai tu mutato e rinovate membre!
      E se ben ti ricordi e vedi lume,
vedrai te somigliante a quella inferma
che non può trovar posa in su le piume,
      ma con dar volta suo dolore scherma.

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